Elena Albricci

16 ott 20191 min

Spamming e GDPR

Lo spamming, detto anche spam o spammare, quell’attività che consiste nell'invio anche verso indirizzi generici, non verificati o sconosciuti, di messaggi ripetuti ad alta frequenza o a carattere di monotematicità tale da renderli indesiderati. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 41604/2019, che riguardava la Vicenza di un soggetto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 167 D.Lgs 196/02 a lui contestato per aver proceduto al trattamento illecito del trattamento dei dati personali per aver inviato numerose mail con fini pubblicitari e promozionali dei propri corsi, a soggetti iscritti ad un’associazione, senza espresso consenso ne di quest’ultima ne dei titolari dei dati. I primi 2 gradi di giudizio avevano condannato l’imputato a diversi mesi di reclusione. Tuttavia è intervenuta, successivamente, la Corte di Cassazione ribaltando la decisione. La Corte infatti ha fondato il suo ragionamento sulla normativa vigente al momento dei fatti e pertanto ha ritenuto che la condotta fosse insuscettibile di essere inquadrata sotto le fattispecie disciplinate dall’art. 167 della vecchia normativa privacy. Non solo, la Corte ha sancito che in casi simili il giudice di merito deve operare un’adeguata verifica fattuale volta ad accertare se l’utente abbia segnalato al mittente di non voler ricevere più messaggi pubblicitari e, nonostante tale richiesta, l’agente abbia comunque inviato altra pubblicità. In quest’ultimo caso la condotta rientrerebbe tra quelle disciplinate dal nuovo D.lgs 101/18 ex. art. 130 e, pertanto, sarebbe suscettibile di essere punita. A riguardo, la Corte ha inoltre affermato che perchè lo stammi assuma rilievo penale, occorre che si verifichi, per ciascun destinatario, un effettivo “nocumento”.