Paolo Baruffaldi

28 ott 20202 min

Lo smart working e la tutela del lavoro

La Fondazione Studi Consulenti sul Lavoro ha pubblicato uno studio sugli indici dello sfruttamento del lavoratore. In particolare lo studio si è soffermato sulla giurisprudenza di legittimità dal 2015 e ha affrontato il tema dello sfruttamento del lavoratore. In particolare si sono rilevati i caratteri dello sfruttamento che possono individuarsi in: reiterate retribuzioni palesemente difformi dai contratti collettivi nazionali o territoriali; reiterate violazioni della normativa relativa all’orario di lavoro e dei periodi di riposo e delle ferie; accertate violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; sorveglianza dei lavoratori e situazioni di alloggio non consone. Molto frequente è anche l’attività lavorativa prestata sotto minaccia di licenziamento e la mancata autonomia di recarsi autonomamente presso i servizi igienici, dovendo un’ autorizzazione preventiva. Spesso è stata affrontata dalla giurisprudenza anche l’imposizione, da parte delle aziende, di non potersi fisicamente alzare dalla postazione di lavoro. La pubblicazione è stata accompagnata dai dati dell’Inail sugli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali, che evidenziano un incremento delle denunce nel 2019 e nel 2020 rispetto al 2018. La prima categoria per numero di denunce è rappresentata dalle patologie del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo (38.492 casi), seguita da quelle del sistema nervoso (6.678, con una prevalenza della sindrome del tunnel carpale) e dell’orecchio (4.311). Con il cosiddetto “smartworking” in conseguenza della pandemia di COVID-19 si profilano nuove criticità nella tutela del lavoro. Risale al 2017 la prima legge italiana che regolamenta questa modalità di lavoro. Sul punto l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano evidenziava che già nel 2018 più della metà delle grandi imprese e l’8% delle PMI proponeva lo Smart Working, registrando un aumento del 20% rispetto all’anno precedente, anche se l’Italia era comunque al di sotto della media Europea