Paolo Baruffaldi

19 nov 20201 min

Gli aspetti penali del mobbing

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31273 del 2020 ha affermato che le condotte di mobbing lavorativo possono essere ricondotte al reato di stalking quando quando siano tali da isolare e vessare il lavoratore, integrando uno degli eventi contemplati dall'art. 612 bis del c.p.. L’ art 612 bis infatti stabilisce che: "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita." La Cassazione con la propria sentenza ricorda che "l'elaborazione giurisprudenziale giuslavoristica in tema di tutela delle condizioni di lavoro ha delineato i tratti caratterizzanti il mobbing lavorativo, che si configura ove ricorra l'elemento obiettivo, integrato da una pluralità di comportamenti vessatori del datore di lavoro, e quello soggettivo dell'intendimento persecutorio del datore medesimo, che unifica la condotta, unitariamente considerata." Affinché si configuri il reato di mobbing quindi è necessario che "i comportamenti datoriali siano il frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione. In tal senso, il mobbing può definirsi in termini di mirata reiterazione di plurimi atteggiamenti, convergenti nell'esprimere ostilità verso la vittima e preordinati a mortificare e a isolare il dipendente nell'ambiente di lavoro."