Paolo Baruffaldi

26 mag 20211 min

L’irripetibilità dei contributi previdenziali

Le pensioni possono essere in ogni momento rettificate dagli enti erogatori in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione o di erogazione della stessa, ma ciò non comporta il recupero delle somme così corrisposte, a meno che la prestazione indebita sia conseguenza di un comportamento doloso posto in essere dall'interessato.

La Corte di Cassazione ha sancito il cosiddetto principio generale dell'irripetibilità delle pensioni che fa discendere direttamente dall'applicazione dell'art. 52 L. n. 88/89.

Il principio di diritto si basa sull'art. 2126 c.c., secondo cui "la nullità o l'annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione".

L'applicazione di tale norma, come sottolineano gli Ermellini, rende intangibile sia la retribuzione, sia la pensione che matura alla stregua della retribuzione così corrisposta.

Secondo la Corte, "rimangono acquisiti e sono computabili agli effetti del diritto alla prestazione assicurativa i contributi per i quali l'accertamento dell'indebito versamento sia posteriore di oltre cinque anni alla data in cui il versamento è stato effettuato".

L'unico modo per ottenere la restituzione è che i contributi erroneamente maggiormente versati siano stati accertati come "indebito" nel quinquennio successivo al loro versamento, ma se ciò non accade essi divengono consolidati e su di essi matura un regolare diritto pensionistico.

La portata innovativa della sentenza richiamata è indubitabile e va a tutelare la buona fede del lavoratore/pensionato che, diversamente, sarebbe illegittimamente calpestata.