Paolo Baruffaldi

5 nov 20201 min

La Cassazione sui buoni pasto

L'ordinanza interlocutoria n. 22985/2020 la Suprema Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi del problema relativo ai buoni pasto. Già con la sentenza numero 14290 del 2012 la Corte aveva stabilito che il buono per il pasto "spetta solo ove ricorrano i presupposti di cui all'art. 4 dell'accordo di comparto del personale appartenente alle qualifiche dirigenziali del 30 aprile 1996, che ne prevede l'attribuzione ai dipendenti con orario settimanale articolato su cinque giorni o turnazioni di almeno otto ore, per le singole giornate lavorative in cui il lavoratore effettui un orario di lavoro ordinario superiore alle sei ore, con la pausa all'interno della quale va consumato il pasto, dovendosi interpretare la regola collettiva nel senso che l'effettuazione della pausa pranzo è condizione di riconoscimento del buono." L'ordinanza interlocutoria numero 22985 del 2020 pertanto richiamando la suddetta pronuncia ha affermato che se il lavoratore rinuncia alla pausa pranzo, non può pretendere il controvalore dei buoni pasto. Tali benefici hanno natura assistenziale e non retributiva, per cui se il dipendente sceglie di non fruire della pausa, che costituisce il presupposto per la concessione dei buoni, non può poi pretendere dal datore il controvalore in denaro.