Arianna Laguardia

1 ott 20203 min

Mirò e il surrealismo

Joan Miró i Ferrà (1893 – 1983) è stato un pittore, scultore e ceramista spagnolo, esponente del surrealismo. Da vocabolario la definizione che si dà del surrealismo è: “un movimento artistico d'avanguardia del Novecento nato come evoluzione del dadaismo e che coinvolse tutte le arti, nato negli anni ‘20 a Parigi; nel 1924 ne fu scritto il primo manifesto. Il Surrealismo è un movimento letterario e artistico che vuole esprimere una realtà superiore, fatta di irrazionale e di sogno e che vuole rivelare gli aspetti più profondi della psiche.” L’intento del surrealismo è, infatti, quello di realizzare forme artistiche direttamente scaturite dal potente mondo della fantasia, del sogno e di quelle forze inconsce che vivono nella parte più profonda e nascosta della mente umana. L’arte di Miró è fantasiosa e dai toni eccentrici (maggiormente i colori primari), con alla base uno stile prettamente dadaista, si affacciò presto a quello surrealista per poi creare una maniera tutta sua, personale, fatta di simboli, astrazione, fantasia del colore. Ma non fu semplicemente un pittore astratto, ogni sua opera infatti è ispirata da una poetica propria dove le parole hanno un ruolo preminente nella genesi creativa. Il legame tra pittura e poesia, quindi tra segno e parola, diventa indissolubile e di primaria ispirazione. Nei quadri di Miró è rappresentato il simbolo, una realtà che non esiste più e che viene tradotta all’essenziale attraverso ghirigori, occhi, donne, stelle, uccelli, la meraviglia della notte. Le forme sono semplici e primitive, a dimostrazione di un gesto impulsivo ed ingenuo, così come i colori primari, di tonalità accese e stesi con campiture piatte. Salvador Dalì dice: “A proposito di Mirò la questione dovrebbe porsi in automatico. Davanti ai mille problemi che non lo preoccupano minimamente, benché siano quelli di cui è intriso lo spirito umano. Il mio è solo un desiderio ciò quello di abbandonarsi per dipingere e soltanto per dipingersi a quell’automatismo al quale da parte mia non ho mai cessato di fare attenzione ma di cui temo che Mirò abbia verificato molto sommariamente il valore e la ragione profonda. forse per questo è vero può passare per il più surrealista di tutti noi”. Continua Dalì: “Quanto a me possiedo il talento di convertire una testa d’agnello rinsecchito in un congegno raro e villoso che mi segnala l’approssimarsi del cattivo tempo e analogamente con l’aiuto di un pezzo di sughero e di qualche piuma colorata conosco il modo di confezionare un richiamo per chiamare i feti delle gatte incinte e spiare il volo cieco e pieno di crudeltà delle colombe. Mirò sa come sezionare con precisione un tuorlo d’uovo per poter valutare il tracciato astronomico che contiene. Mirò restituisce al tratto, al punto al più lieve stiramento, al significato figurativo, ai colori le loro più pure potenzialità magiche ed elementari. I dipinti di Mirò ci portano attraverso le vie degli automatismi e della surrealtà a valutare ed accostare approssimativamente la realtà stesa corroborando così l’idea di Breton secondo la quale la surrealtà è contenuta nella vita e viceversa. Ci sono momenti in Bosch che sembrano obbedire ad una simile surrealtà contenuta nella realtà stessa. Ciò detto il procedimento di Bosch è nettamente immaginativo ed addizionale attivo in fin dei conti e sovente una rottura improvvisa separa la realtà e il surreale. Questa rottura scompare quando l’immaginazione è sostituita dall’ispirazione pura, dall’istinto religioso, dallo stato passivo della forma artistica. In questo caso si pronuncia il Mirò fra surrealtà e realtà un’osmosi che ha un margine illimitato di mistero capace di trasmetterci il più intenso turbamento come delle piume remote e penetranti, creazioni magiche.” Fondamentale chiave di lettura della produzione artistica di Mirò è il concetto di automatismo psichico cioè la capacità di suggerire delle letture altre a partire dall’essenzialità dei soggetti pittorici. L’artista utilizza il segno grafico, il colore e le forme per aprire sulla dimensione parallela rispetto a quella reale. Ciò che sottolinea Dalì è che Bosch (pittore del Paesi Bassi di fine Quattrocento) è da considerare solo come punto di partenza dato che vediamo ancora chiaramente dove è reale e dove surreale; mentre la capacità di Mirò è di far compenetrare la realtà e la surrealtà. Prendendo come esempio il quadro Paesaggio catalano (il cacciatore), (1923-24), Mirò rappresenta il cacciatore in alto a sinistra con la pipa, corpo e piedi mentre risulta di difficile interpretazione le prede. Il tutto è reso vivace dal gioco di colori sullo sfondo. Invece ne la nascita del mondo (1925) troviamo l’identificazione della nascita del mondo trovandoci davanti alla sostanza primaria pittorica e grafica, insieme all’essenzialità delle forme geometriche. Da notare è anche un’influenza della pittura ‘600 olandese di interni da cui l’artista trae la chiarezza della visione ed il ruolo dei colori netti e precisi che esaminano la realtà nell’attenersi al dato realistico per trasfigurarlo poi nella traduzione pittorica offerta. Nel quadri proposto, interno olandese I (1928), risalta un’esattezza e pulizia grafica, le forme riprendono gli oggetti sul tavolo, il sonatore di liuto, la donna affianco ed il cagnolino in basso a sinistra, lo sfondo di diretta ispirazione al quadro posto di fianco di Sorgh, Suonatore di liuto,1661.