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Algorithmic trading, AI e mercati finanziari: “l’opinione" della matematica


La matematica non è un'opinione, si argomenta spesso, volendo intendere che la sua applicazione porta a risultati esenti da considerazioni soggettive e intendendo anche rimarcare il divario tra la capacità oggettivante del calcolo rispetto alla visione soggettiva tipicamente umana. Eppure questo è vero solo e soltanto date le variabili inserite e considerate le ipotesi alla base del modello, e questa non è certo una questione da poco bensì una premessa indispensabile. Un qualsiasi modello matematico, in sostanza, approssima la realtà mancando di considerare alcune variabili viste come “ingestibili” per natura o capacità di calcolo oppure dimentica fattori “apparentemente estranei “ alle sue finalità di indagine. La capacità di oggettivare la realtà è quindi limitata dalla capacità di leggere il contesto di applicazione da parte di chi ne applica i principi, ma, in tal senso, trova oggi un potente alleato nella tecnologia, in grado quest’ultima di ampliare di molto i confini di indagine dei modelli grazie a capacità di calcolo e di sintesi mai viste e potenziate poi anche con l’accesso ai Big Data. La matematica è oggi un’opinione (per quanto strutturata), “l’opinione della macchina” ed è un punto di vista che, nonostante i suoi molti limiti, conta più di quanto si immagini.

Oggi gestire enormi quantità di informazioni in millisecondi , modelli matematici estremamente complessi, e affidare la maggior parte dei capitali investiti sui mercati ad algoritmi estremamente sofisticati è la norma (oltre la metà dei capitali è in mano a trading systems automatizzati). Con l’avvento del machine learning, ossia la capacità di apprendere in modo autonomo da parte delle macchine (che poi si sostanzia nella capacità di queste di sondare enormi masse di dati al fine di scoprire schemi efficienti e profittevoli da proporre o creare sistemi di trading ex novo semplicemente osservando cosa funziona sul mercato in quel momento), la corsa al vantaggio competitivo rappresentato dalla fruizione dei più innovativi, rapidi e “intelligenti” strumenti si è resa più accesa, con i principali hedge funds che assumono quant e specialist AI più che esperti interni al settore finanziario. Mentre dare nuovo impulso a strategie note grazie all’impiego di nuove tecniche basate su algoritmi di ricerca come avviene oggi per il Momentum (la macchina cerca connessioni tra aziende basandosi su sentiment e andamento delle quotazioni oppure correlazioni con fattori economici) , le Value (la macchina analizza uno determinato universo di dati strettamente specifico per un’industria o settore per esplicitare il valore intrinseco del titolo) o le Profitability(la macchina può sondare i dettagli del traffico web di siti di e-commerce aziendali per identificare, in tempo reale, i business che stanno accrescendo la loro quota di mercato on line) costituisce una semplice ottimizzazione, l’operatività gestita da un algoritmo ha invece un impatto sui mercati. Insomma, se si macinano dati sul meteo non è che cambia il tempo , ma se con un algoritmo si fa trading allora l’impatto sui mercati c’è eccome. La capacità dell’High Frequency Trading di influenzare i mercati è un dato di fatto: un numero enorme ordini in acquisto e in vendita vengono immessi in pochissimi millisecondi ed aggiornati in tempo reale arrivando ad impattare sul mercato in maniera solo apparentemente (e volutamente) limitata tramite lo “spacchettamento” di enormi posizioni long o short in una miriade di posizioni più piccole al solo scopo di evitare movimenti di prezzo repentini e dannosi per gli interessi della macchina stessa (eseguire ad un prezzo più basso possibile l’intera posizione ad esempio) ma pure con la precisa intenzione di influenzare il comportamento degli altri operatori (nei riguardi dei quali la macchina più evoluta più rapida e dotata di maggiori risorse avrà sempre un vantaggio competitivo). A parte gli evidenti rischi derivanti da un errore di programmazione o da una variabile non considerata (Knight Capital docet),con gli algoritmi c’è poi un effetto concatenazione che potrebbe portare all’amplificazione immediata e inarrestabile di qualsiasi ampio movimento di prezzo al ribasso, sostenuta prima dalla risposta di altri robotraders magari meno aggressivi ma con certamente contromisure attive su oscillazioni fuori norma e poi pure dalla tardiva reazione degli operatori umani senza ordini in macchina e a quel punto già in preda al panico. Dall’altra parte, l’algoritmo, in parte comune a molte macchine, potrebbe influenzare a tal punto il mercato con la sua implementazione in massa e muovere nella stessa direzione capitali tanto ingenti da creare un circolo vizioso tale da spingere con insistenza le quotazioni (anche di indici molto molto importanti ) al rialzo senza accorgersi di essere lui stesso e la sua diffusione la ragione del successo di tali investimenti. Parliamo cioè di una bolla, il caso opposto al panic sell visto in precedenza, creata da un algoritmo e proseguita grazie alla sua diffusione e magari all’appetito al rischio di tanti altri investitori. Risulta evidente dunque come le limitazioni imposte dai listini sulle fluttuazioni quotidiane di un titolo possano poco o nulla di fronte a stimoli di questo tipo soprattutto se protratti nel tempo. Maggiore volatilità certo ma anche mercati meno efficienti o, meglio, efficienti nella misura in cui le macchine inizieranno a considerare una maggior varietà di informazioni visto che, in tale contesto, i mercati non sarebbero più terreno di incontro e scontro tra view differenti, orizzonti temporali di investimento variegati, diversa percezione dell’evoluzione degli eventi o emozioni ma piuttosto solo incontro di una domanda e un’offerta snaturate..Come potrebbe una macchina leggere dati macro, fondamentali o valutare positivamente il potenziale di una nuova tecnologia?

In tale contesto, che ruolo potrebbe avere il gestore umano se non principalmente quello di accettare passivamente l’operato di questa “mano invisibile tecnologica” che orienta tutto senza sentir ragioni sulla base di ogni informazione da lei processabile? Del resto, solo per sopravvivere, anche il gestore fruirebbe massicciamente di questi strumenti e di conseguenza le sue scelte sarebbero anch’esse, in buona parte, automatizzate. Quest’ ultima constatazione rimanda alla probabile e provata ascesa di investimenti che spostano il focus dalla ” gestione attiva” (che in tale contesto si rivelerebbe un inutile quanto costoso passaggio intermedio ), ad un robo advisor che sappia semplicemente “leggere” il mercato oggi o meglio ancora ad un portafoglio di ETF ben capitalizzati e liquidi (con anche un evidente risparmio in termini di spese). Non è un caso che in Europa ad investire maggiormente in questi strumenti siano proprio i fondi e gli istituzionali. Gli ETF non hanno certo la selezione soggettiva e dinamica di una gestione attiva ma già oggi con gli ETF “intelligenti” , i così detti Smart Beta, si ottiene l’applicazione meccanica di logiche di ponderazione delle componenti basate su dividendi, fondamentali o volatilità minima . Esistono pesino ETF che periodicamente scelgono di entrare in settori sottovalutati e chiudere le posizioni su quelli sopravvalutati come l’Ossiam Shiller Barclays CAPE® Europe Sector Value. E se in futuro arrivassero sulle borse addirittura ETF incorporanti specifiche strategie di trading basate su algoritmi ?


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