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ETF troppo grandi: quando il benchmark o il mercato non sono abbastanza


Può un ETF diventare troppo grande per il proprio indice o addirittura per il proprio mercato sottostante? Ormai non si tratta più di una domanda o di un’ipotesi ma piuttosto di un’evidenza. Gli ETF sono spesso soggetti a cambiamenti nei benchmark di riferimento per le più svariate ragioni ma l’evidenza degli ultimi anni ha portato alla luce nuove complicazioni dovute principalmente all’incremento delle masse investite in alcuni degli ETF di maggior successo a livello globale. Il VanEck Junior Gold Miners ETF , quotato al NYSE ARCA e secondo ETF al mondo nel segmento di nicchia dei produttori di materials small cap, che traccia mediante replica fisica il MVIS Global Junior Gold Miners Index, ha visto incrementare le masse investite da 1 miliardo di dollari di inizio 2016 fino ai 5.4 miliardi di inizio aprile con un aumento di prezzo di quasi il 90% (assets a + 60 %)su un mercato che nel suo complesso vale appena 30 miliardi. Un successo, senza dubbio, ma un successo di difficile gestione. Se l’incremento di prezzo e la domanda erano in buona parte dovuti ai prezzi del metallo giallo allora in netta ascesa, l’allontanamento dall’indice era dovuto a ben altre cause. Se gli AUM di questo ETF sul mercato di riferimento sembrano già eccessivi, andando ad osservare le singole partecipazioni, le problematiche di questa crescita assumono proporzioni ancora più evidenti. Secondo gli analisti di Scotiabank, costretto da un simile afflusso di capitali, l’ETF ha assunto facilmente partecipazioni “rilevanti” in molte di queste piccole compagnie di estrazione e lavorazione del metallo giallo arrivando in molti casi oltre il 10% del capitale e, sporadicamente, addirittura quasi al 20% andando incontro al limite di legge imposto in Canada (la composizione paese dell’indice risulta 66% Canada, 16% Australia, 7.7% Stati Uniti e per finire solo Sud Africa e Perù oltre il 3 %) per il lancio dell’OPA obbligatoria su tali compagnie.

Limitato nella sua possibilità di allocare le enormi masse in gestione nelle aziende più promettenti dai suddetti limiti di legge e dalle poche alternative di investimento disponibili su un mercato ristretto e di nicchia come quello junior miners, l’ETF è stato addirittura criticato da alcuni commentatori che hanno definito la composizione del portafoglio come molto mal realizzata esprimendo non pochi dubbi sulla qualità stessa delle azioni insite nell’ETF, molte delle quali non davano neppure segnali operativi rassicuranti su medie mobili o, tantomeno, ricavi o utili in crescita. Oltre alla semplice difficoltà di allocare i fondi sul mercato di riferimento e di farlo in maniere efficiente e potenzialmente profittevole, a motivare questi investimenti si aggiunge naturalmente la questione inerente la diversificazione dell’investimento. Molte di queste partecipazioni sono state infatti acquistate più per tentare una sufficiente diversificazione piuttosto che per effettiva qualità delle stesse fino all’inclusione di società e strumenti che neppure rientravano nella composizione dell’indice stesso, pur essendovi correlati (consentito non oltre il 20%).

Questi prodotti hanno poi generato pesanti scostamenti indice/ETF. La performance ottenuta, come è stato rilevato, derivava per lo più dal Direxion Daily Junior Gold Miners Index Bull 3X Shares ( che durante il 2016, aveva decuplicato i suoi assets) costruito sul medesimo MVIS Global Junior Gold Miners Index, ossia da un prodotto concorrente in leva tripla sullo stesso settore (quindi ancora, in parte, replicante le stesse azioni senza nessun miglioramento oggettivo in termini di effettiva diversificazione se non solo “sulla carta”). Il famoso VanEck Vectors Gold Miners ETF , replicante il NYSE Gold Miners Index, ovvero un indice diverso e con capitalizzazione media di mercato delle aziende di 8.9 miliardi miliardi $ (insomma ben oltre la soglia delle micro/small cap del MVIS Global Junior Gold Miners …), è un altro di questi investimenti extra indice: un prodotto analogo, con medesimo emittente, ma senza il vincolo della capitalizzazione a limitare il campo delle possibili alternative di investimento. L’investimento da parte del VanEck Junior Gold Miners ETF in altri ETF che abbracciano tutto lo spettro delle capitalizzazioni, risulta una questione particolarmente rilevante proprio per la natura volutamente “ad altro rischio/rendimento” dello strumento, derivante proprio dal focus su micro/piccole capitalizzazioni (SRRI pari a 7 ossia massimo rischio, per la variante UCITS del prodotto registrata anche in Italia da novembre). VanEck ha optato pochi giorni fa per un cambio indice atto a modificare la policy dello strumento con il passaggio da un range di capitalizzazione tra 75 milioni e 1.5 miliardi ad uno che porta la barriera superiore fino a 3 miliardi (2.5 miliardi è la soglia per le small cap, ora si includono anche le mid cap ) a partire dal prossimo 17 giugno con il conseguente passaggio da 48 a 62 compagnie. Secondo Scotiabank queste nuove inclusioni rappresenteranno addirittura il 60% del nuovo portafoglio.... Se un ETF costruito su un mercato di piccole dimensioni raggiunge grandi dimensioni si pongono però anche evidenti problemi di in riferimento all’ efficienza del meccanismo di liquidazione delle quote e all’influenza che l’ETF stesso può avere sul mercato sottostante, a maggior ragione se di ridotte dimensioni. A tal proposito, ha ottenuto particolare risalto uno studio di Ullan Invesments Advisors sull’ETF iShares US Preferred Stock, sempre quotato al NYSE. Come il prodotto VanEck , lo strumento era arrivato a crescere enormemente rispetto al mercato di nicchia sottostate, quello delle così chiamate “Preferred Stocks”americane ossia titoli appartenenti alla categoria fixed income collocabili a metà tra bond e equity con maturity molto molto estese. Si tratta infatti di titoli che pagano un dividendo fisso (che vanta un pagamento anticipato rispetto agli adempimenti previsti verso i comuni azionisti) oltre a rappresentare una ownership in società (pur non incorporando diritti di voto). Secondo Ullan Invesments Advisors, firm particolarmente attiva sul segmento preferred, l’ETF, che ha raggiunto a marzo 2017 assets per oltre 17 miliardi di dollari ( settimo ETF sul fixed income USA per AUM), detiene oltre il 10% di ciascuna emissione nella quale l’indice ha investito. Il problema della liquidità sul mercato ne è la diretta conseguenza se consideriamo che ad una vendita massiccia di quote dell’ETF seguirebbe la vendita dei titoli del paniere con un naturale crollo delle quotazioni. Secondo Ullan Invesments Advisors ,stando ai volumi di trading giornalieri, sarebbero necessarie tre settimane per rimborsare anche solo il 10% di ciascun titolo con pure il rischio che le vendite, eccedendo il volume medio giornaliero, portino ad un ulteriore e repentino crollo dei prezzi magari in una fase in cui le vendite sono già avviate a causa di un rialzo dei tassi (trattandosi di fixed income).

Se con il prodotto VanEck il problema era l’allocazione dei flussi troppo ingenti su un mercato (indice)troppo ristretto , e con l’ETF Ishares i dubbi si allargano al corretto funzionamento dei meccanismi di base dello strumento (creation & redemption) per date dimensioni e condizioni di mercato avverse, un altro problema si rivela essere la compatibilità tra le dimensioni degli ETF e la sua effettiva capacità di replicare l’indice di riferimento (magari in leva ) anche se su un mercato più vasto. Next Funds Nikkei 225 Leveraged Index, aveva interrotto a fine 2015 le sottoscrizioni di nuove quote in quanto, come riporta Bloomberg, “il mercato dei futures non era più in grado di garantire una performance giornaliera doppia dell’’indice Nikkei 225”. Anche in questo caso gli assets dell’ETF erano cresciuti enormemente in poco tempo portandolo ad essere uno dei più grandi ETF a leva a livello globale. Secondo gli analisti di JPMorgan Securities Japan, sembrava che il mercato non solo subisse i trade dell’ETF con una pericolosa amplificazione dei movimenti , ma addirittura fosse orientato dall’ETF stesso. La liquidità sul mercato dei future restava la stessa ma non era più sufficiente per le esigenze dell’ETF e la situazione ormai influenzava pesantemente la volatilità. Tra l’altro, essendo un prodotto in leva spesso usato in situazioni di volatilità già in partenza elevata, non è difficile immaginare che effetti devastanti avrebbe potuto avere questo strumento con mercati agitati o in forte calo, tanto per il mercato sottostante quanto per gli investitori stessi che comunque godono sulla carta della liquidabilità quotidiana dello strumento.


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