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Macron non risolverà, da solo, la crisi dell’Europa e dell’Italia


Salutato come il nuovo leader europeo, Emmanuel Macron, neo presidente della Repubblica di Francia e leader del movimento politico En Marchel, non sarà con tutta probabilità l’uomo della Provvidenza per l’Europa e l’Italia. Al Vecchio Continente, messo all’angolo dalle spinte neonazionaliste dell’Occidente (Uk e Us, innanzitutto) servono riforme e una fondazione politica, che non sono mai arrivate e che, peggio, non si scorgono all’orizzonte. E, se all’Europa, serve questo, all’Italia occorre molto di più per uscire dalla crisi politica ed economica e percorrere una nuova stagione. Il messaggio che arriva dalla tavola rotonda “l’Europa dopo le elezioni francesi: istituzioni, classi dirigenti e movimenti politici” lascia ben poco spazio allo slancio entusiastico che ha saluto il neopresidente Macron. Più netti i giudizi del politologo Sergio Fabbrini e dell’economista, con cattedra americana, Luigi Zingales; più sfumati quelli di Jean Pisani-Ferry, economista ed estensore del programma di politica economica di Macron.

Oggi il Festival dell’Economia ha lasciato, per una brevissima parentesi, il tema dell’edizione 2017 dedicato alla Salute: scelta giustifica dai temi dettati dell’agenda politica ed economica internazionale.

Per molti, all’indomani della sua elezione a presidente francese, Emmanuel Macron, leader del movimento politico En Marchel, rappresentava l’esponente più noto di quella classe dirigente continentale a cui spetterebbe il compito sfidante di rifondare l’Unione europea. Oggi al Festival dell’Economia di Trento, a parlare proprio del “suo” presidente era presente Jean Pisani-Ferry, professore di Economia e Management pubblico presso Hertie School of Governance ed estensore del programma elettorale d Emmanuel Macron.

Nel suo intervento, il docente ha tratteggiato il politico Macron e letto i capitoli principali della sua agenda. “Ad esempio - ha ricordato Pisani-Ferry - in occasione del dibattito televisivo con tutti ed 11 i candidati all’Eliseo, Macron era l’unico ad aver votato a favore della costituzione europea. Gli altri 10 l’avevano osteggiata e in quel momento rappresentavano il 75 per cento degli elettori. Sappiamo tutti come è andata a finire...”.

Oggi la Francia è sicuramente un Paese intimidito, sicuramente diviso, ma per la prima volta rivolto all’Europa, vista come una risposta (non senza criticità) alle spinte neonazionaliste che rischiano di spaccare l’alleanza tra gli Stati europei. “Macron - ha aggiunto l’economista francese - gode di un capitale politico illimitato che gli permetterà di agire sui maggiori temi del Paese: il rilancio della forza economica, la riforma della scuola raddoppiando il numero di docenti e del sistema pensionistico, oggi opaco”. Sui temi europei, Pisani-Ferrry ha indicato nell’immigrazione (“la Francia ha una disponibilità limitata”) e nel cambiamento climatico due questioni urgenti: “L’Europa deve essere percepita dal cittadino come qualcosa che protegge lo stesso cittadino, così come dobbiamo riprendere il confronto interrotto sulle riforme interne e questo sarà molto difficile. Dobbiamo affrontare una discussione sincera, superando le interpretazioni che le diverse nazioni offrono della crisi”.

Chi non crede che il presidente Macron sia e non sarà l’uomo delle Provvidenza per l’Europa è Luigi Zingales, professore di Finanza alla University of Chicago Booth School of Business e direttore dello Stigler

Center: “La vittoria di Macro ha una nota positiva: l’alternativa era molto peggio. Il nuovo presidente francese non cambierà nulla e non potrà da solo spingere per superare i problemi dell’Unione Europea”.

Sulla crisi europea Zingales ha tagliato corto: “L’Europa ha portato a livello europeo solo il mercato e non il welfare che viene lasciato alle singole nazioni. I populisti si sono impossessati del welfare, inteso come difesa dei valori nazionali. Da anni ripeto, e non sono il solo, che l’Europa è incompleta perché non ha nemmeno realizzato un’assicurazione comune dei depositi e della disoccupazione: è il minimo sindacale. Se i tedeschi non lo vogliono fare, bisogna pensare alle alternative”. Il rischio, secondo Zingales, è che, prima poi, il populismo diventi maggioranza anche in Europa (dopo Uk e Us), con effetti devastanti: “I problemi italiani sono strutturali e nulla potrà fare Macron per salvarci”.

Una sferzata è arrivata anche da Sergio Fabbrini, direttore della LUISS School of Government e professore di Scienza Politica e di Relazioni Internazionali presso la LUISS Guido Carli. Partendo dal superamento delle divisioni tra destra e sinistra, Fabbrini ha spiegato che Macron è stato esaltato proprio in contrapposizione alle spinte neonazionaliste e come argine dentro lo scontro del mondo occidentale: “La maggioranza dei francesi è ancora oggi perlomeno sospettosa verso l’Europa. Macro ha vinto perché ha posto l’interesse francese in relazione all’interesse europeo. Non lo ha messo prima ma nemmeno dopo. La crisi dell’Europa è nel dna di un’Unione che ancora oggi è la somma di Stati con prospettive ed obiettivi diversi. L’Europa ha bisogno di Macron nelle misura in cui ha bisogno di una fondazione politica”.


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