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Trump vs. Obamacare: la battaglia politica sulla sanità


Jonathan Gruber e la sua riflessione sulla nascita e il destino dell’Obamacare porta il Festival dell’Economia di Trento nel cuore del dibattito americano. Spinta dalla minaccia del presidente Trump di abolire i sussidi per l’accesso alle cure mediche dei più svantaggiati, l’Affordable Care Act vive una stagione di grande consenso da parte dell’opinione pubblica. Il confronto con la sanità italiana e le accuse al sistema delle assicurazioni.

“Aria fresca” al Festival dell’Economia di Trento. È quella che respira oggi Jonathan Gruber, esperto di economia sanitaria e uno degli architetti delle principali riforme americane negli Stati Uniti, invitato a parlare della riforma fortemente voluta dall’ex presidente Obama. «In un momento storico in cui gli esperti, i fatti e le posizioni della scienza vivono una stagione di discredito, è rassicurante vedere che qui a Trento in questo Festival vengono invece tenuti in grande considerazione e rispettati». Così ha esordito Gruber, introdotto dal giornalista Stefano Lepri de La Stampa, per raccontare al pubblico del Festival come è nata e come minaccia di finire l’Obamacare.

Nella sua veste di ispiratore della riforma sanitaria, spesso al centro di attacchi e polemiche per le sue posizioni, Gruber ha proposto un’analisi partendo dai dati. «Per la maggior parte degli americani, l’accessibilità del sistema sanitario non è molto diversa da quello che è per gli italiani. Il 60% degli americani ha un’assicurazione pagata dal datore del lavoro, al 20% invece l’assicurazione è garantita dal governo ad un costo irrisorio. Il problema tipicamente americano ruota attorno al rimanente 20% delle persone che soffre di un atteggiamento discriminatorio da parte delle assicurazioni. Queste infatti hanno ampia discrezionalità, possono negare le cure se la persona è malata o se lo è stata in passato. Questa parte di popolazione non ha possibilità di proteggersi dalle malattie. Circa 40mila americani muoiono perché non hanno copertura, ma molti di più non sono in grado pagare fatture. Un ampio stress finanziario a cui sono sottoposte le famiglie a basso reddito».

Perché allora gli Usa non adottano un sistema analogo a quello italiano? «Forse tempo fa poteva essere un’opzione. Ora è politicamente impossibile. La maggior parte americani ha già un sistema di assicurazione che funziona e non vuole rinunciare per qualcosa che non si sa se funzionerebbe. E poi ci sono le assicurazioni che senza dubbio si opporrebbero, senza contare che si dovrebbe aumentare la tassazione per tutti. Il sistema si è sgretolato progressivamente. L’Obamacare (Affordable Care Act) ha tratto ispirazione da una misura promossa dai Repubblicani in Massachusetts che partiva da una prospettiva diversa: invece di cambiare il sistema, occorre intervenire sulla parte in difficoltà, quel 20% ostaggio delle assicurazioni. Come uno sgabello a tre gambe, la legge si è basata su un equilibrio di tre interventi: sospendere la discriminazione delle assicurazioni (e quindi assicurare chiunque allo stesso prezzo); rendere obbligatoria l’assicurazione per tutti a un prezzo giusto, sani e malati (per garantire la sostenibilità economica del sistema); introdurre sussidi per rendere accessibili le polizze»

«Dal 1 gennaio 2014, con l’approvazione della legge, gli Stati Uniti hanno compiuto un passo da gigante in fatto di giustizia sociale impedendo la discriminazione da parte assicurazioni e garantendo accesso alle cure mediche a quel 20% di americani. Ma la misura non è stata ben accolta, almeno finora, o forse poco compresa. La percezione degli americani rispetto alla legge del resto è distorta, perché non tocca la gran parte di loro ma solo la fetta dei diretti interessati. Ciò che meno piace è l’obbligatorietà, il mandato

individuale. Tuttavia, togliendola si abbassa il numero dei sani che contribuiscono ad sostenere finanziariamente il sistema e questo fa lievitare i costi delle assicurazioni per i malati. Il risultato è che, senza Obamacare, chi è indigente dovrà pagare dieci volte di più rispetto a ora per avere una copertura sanitaria. «Ma i fatti contano, eccome» ha proseguito Gruber. «La decisione del presidente Trump di togliere l’assistenza sanitaria a oltre 20 milioni di persone - una misura ma che potrebbe essere al centro di trattative con la destra ultra repubblicana – si è rivelata impopolare. Questa minaccia ha fatto reagire l’opinione pubblica, tanto che ora solo uno su dieci degli americani è contrario all’ObamaCare. Paradossalmente è proprio ora che questa legge vive il suo momento di grande popolarità».

Gruber ha poi puntato il dito sulla crescita dei costi della sanità: «Dal 4% del 1950 si è passati al 17% di oggi ed entro la fine del secolo si stima di raggiungere il 40% del Pil. In Italia le spese sanitarie arrivano a quota 9% del pil e la sanità funziona bene come negli Stati Uniti. Ma oltreoceano non funziona bene per tutti, perché per le classi disagiate le cure sono inaccessibili. Un altro problema riguarda i costi della sanità – delle visite, dell’ospedalizzazione, dei farmaci – che negli Stati Uniti sono molto più elevati che altrove perché non esiste una regolamentazione dei prezzi. Il libero mercato su cui il sistema si appoggia, ha una serie di carenze e spesso esiste un regime di monopolio. E ancora una volta la responsabilità è della politica. Ma anche in questo caso il movimento dal basso si è visto. Dall’approvazione dell’Obamacare si notato un rallentamento delle spese sanitarie grazie alla mobilitazione dei datori di lavoro, non più disposti a sostenere prezzi tanto elevati».


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