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L'America di Trump porterà ad una nuova forma di globalizzazione?


Se il termine “globalizzazione” indica, in parole povere, il passaggio di merci, denaro e persone attraverso le frontiere, cosa dobbiamo aspettarci dalla nuova politica statunitense del presidente Donald Trump? A questo interrogativo hanno cercato di rispondere tre esperti intervenuti al Festival dell’Economia nell’incontro che è stato moderato dal giornalista di Repubblica Francesco Manacorda.

I professori Robert Johnson e Thomas Ferguson, dell’Università del Massacchutes e Arturo O’Connel, matematico ed economista ed ex Membro del Consiglio dei Governatori della Banca Centrale della Repubblica Argentina, tutti e tre “pensatori economici” della comunità di Inet (Institute for new economic thinking) non sono convinti che si debba prendere alla lettera tutto quello che dice il nuovo presidente USA.

“I cambiamenti sono in atto – sostiene Ferguson – e non si può negare che vi sarà in futuro una battuta d’arresto nel processo di globalizzazione, con effetti secondari non indifferenti soprattutto nei confronti dei Paesi in via di sviluppo che vedranno chiudersi molte opportunità di scambio con gli Stati Uniti. Sarà anche l’Europa a pagare lo scotto maggiore, visto che fino ad ora parecchie relazioni commerciali si basavano su uno stretto rapporto. La dichiarata politica protezionista di Trump contrasta con quello che fino ad ora è stato fatto dai suoi predecessori, che erano a favore di una politica pro globalizzazione che ha contribuito ad alimentare la crescita globale e favorito il movimento di merci e capitali, i progressi a livello scientifico, tecnologico e di civiltà, e le iterazioni tra le persone”.

“Certo è che – sostiene Robert Jhonson - Trump ha vinto le elezioni raccogliendo voti sulla base di promesse. E tante ne ha fatte che sarà difficile per lui ora mantenerle, accontentando anche coloro che l’hanno sostenuto a livello finanziario in campagna elettorale. E’ evidente che oramai alcune linee del suo operato sono tracciate e dichiarate, come la cancellazione della politica assistenziale e sanitaria di Obama o la demonizzazione del libero scambio finanziario. Più in generale però, la sua politica commerciale è rivolta a sostenere le esportazioni USA e a disincentivare le importazioni. Sembra una nuova era di protezionismo, esattamente il contrario di quanto sia avvenuto negli ultimi decenni nel pianeta con la globalizzazione, che implica apertura delle economie al commercio mondiale; politica propugnata proprio dall’America, che è stata una delle grandi beneficiarie di questa evoluzione. Ma non sono convinto che riuscirà a realizzare tutto quanto ha detto in campagna elettorale”.

A questo punto è legittimo chiedersi se gli equilibri internazionali saranno stravolti, con un nuovo modello di globalizzazione condotto dai cinesi anziché dall’America? In tal senso il discorso del Presidente cinese Xi Jinping di fronte al World Economic Forum di Davos dello scorso 18 gennaio ha segnato un’importante pietra miliare per gli equilibri economici e geopolitici: per la prima volta infatti la Repubblica Popolare Cinese ha espresso la propria consapevolezza di poter ambire a un ruolo di leadership nel processo di globalizzazione e interconnessione economica. Le parole di Xi sono state poste in diretta correlazione con le dichiarazioni del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che nel suo discorso di insediamento ha sottolineato l’importanza degli imperativi “buy American, hire American!” ed è notoriamente avverso agli sviluppi prodottisi nel primo ventennio di dispiegamento della globalizzazione. Arturo O’Connell, però è guardingo in tal senso e sottolinea: “i problemi in tema di globalizzazione non sono comunque nati con

l’elezione di Trump e non saranno certo aggravati dalle sue dichiarazioni o azioni. Secondo me, da un punto di vista finanziario la globalizzazione rischia di sfuggirci di mano se non si cominciano ad impostare regole precise, cosa che fino ad ora non è stata fatta”.


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