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ETF Smart Beta 2.0: le repliche passive rule based si mascherano da gestione attiva


Gli ingredienti ci sono tutti. In Europa, un grande mercato ETF sommerso estremamente liquido è prossimo ad essere svelato dagli obblighi di rendicontazione della MIFID II, che porterà anche in dote, grazie all’eliminazione delle commissioni retrocesse e alla maggior trasparenza nei costi, un cambiamento radicale nei meccanismi alla base di un’intermediazione finanziaria, quella continentale, che si è sempre distinta per un implicito conflitto d’interesse, quest'ultimo in grado di rallentare non poco la promozione di soluzioni ETF. Questi fattori potrebbero rappresentare, per chi ancora non impiega questi strumenti nel suo portafoglio, una valida ragione per entrare nel mondo ETF mentre, per chi già vi investe, la crescente innovazione che da sempre contraddistingue i replicanti potrebbe costituire una ragione ulteriore per continuare ad apprezzarli anche con mercati in fase di cambiamento, magari investendo in rule based ETF più evoluti, bilanciati ma comunque accessibili.

In riferimento alle mutate condizioni di mercato infatti, quella che potenzialmente potrebbe essere un’occasione di rivalsa per la gestione attiva tradizionale, forse più idonea a fronteggiare mercati non più drogati dall’interventismo dei banchieri centrali, potrebbe in realtà trasformarsi in un ulteriore problema per questo settore, se l’interesse più che decennale sui prodotti smart beta, anello di congiunzione tra le gestioni attive e passive, continuasse, come sembra, ad aumentare. Oggi, tra single factor e multifactor strategies, l’interesse per le future emissioni smart beta si rivela infatti secondario solo a quello per un allargamento dell’offerta ETF sui paesi emergenti mentre le altre principali categorie di che suscitano maggiore interesse per il futuro sono volatility, ethical, infrastructure, emerging markets bond ed hedge fund ETF. Esplorando più nel dettaglio il settore smart beta, secondo la decima inchiesta “European ETF and Smart Beta” di EDHEC-Risk, uno studio supportato da Amundi al quale hanno partecipato 211 investitori istituzionali in ETF e soluzioni Smart Beta europei (per il 39% degli intervistati si eccedevano i 10 miliardi di euro in gestione ), il 94% degli investitori consultati riferiva a maggio l’intenzione di aumentare nei prossimi tre anni l’investimento in queste strategie sperando nell’introduzione di nuove asset class sottostanti come currencies e commodities, come pure in un incremento della varietà dell’offerta in campo fixed income, auspicando, in generale, anche una maggior sofisticazione e customizzazione delle strategie implementate. Il quadro delle strategie smart beta più richieste si completa con l’integrazione tra tradizionali smart beta e criteri ESG e con le strategie long short su equity, anche quest’ultime molto apprezzate. Se, come prevedibile, dopo anni di crescita debole e diffuso difensivismo, da metà 2016 abbiamo assistito ad una riduzione delle posizioni sulle strategie minimum volatility, molto apprezzate durante la crisi, in funzione di posizionamenti più orientati alla crescita e di tipo value fino all’odierna leadership delle dividend, la novità è oggi rappresentata soprattutto dalla crescente varietà di strategie incluse nei prodotti multifactor, in particolar modo di quelle in grado di mitigare la ciclicità implicita delle single factor più direzionali diversificando l’esposizione e provando, di conseguenza, ad ottenere buone performance in una maggiore varietà di scenari.

Data per scontata, in questa sede, l’efficienza delle varie strategie direzionali finché impiegate in condizioni di mercato idonee a massimizzarne i risultati, quello che oggi cercano gli investitori è soprattutto una maggiore “versatilità” nel tempo delle strategie ETF smart beta. Ma facciamo un passo indietro. La gestione passiva tradizionale ha ottenuto un così diffuso successo principalmente per il fatto di essere in grado, tramite la tradizionale strategia Market Capitalization Weighted (assegnazione dei pesi in portafoglio in base al valore di mercato/capitalizzazione dei titoli portando il peso di una società nell'indice ad esser pari al valore di mercato di tale società diviso per la somma delle capitalizzazioni dei costituenti dell'indice), di cogliere il rendimento medio del mercato o settore che va a replicare prima dei costi portando però, per definizione, a battere la maggior parte degli investitori proprio grazie ai costi stessi, estremamente ridotti. I costi di un ETF market cap weighted sono contenuti in funzione della stessa metodologia di pesatura dei titoli. Infatti, il basso turnover implicito in un indice che considera solo la capitalizzazione di mercato, i bassi spread sul trading derivanti dal focus su grandi società molto liquide in borsa ma anche il fatto che questi indici sono in grado di attirare ingenti capitali senza impattare sul prezzo dei titoli sui quali vanno ad investire, sono tutti fattori di successo propri soprattutto di questa metodologia. Pur non esente da limiti (sovrappesa i titoli sopravvalutati e sottopesa quelli sottovalutati), la market cap weighted (MCW) è dunque la migliore alternativa in assoluto se si vuole replicare il rischio e il rendimento di un mercato ad un costo minimo. Per gli smart beta il discorso cambia radicalmente. Queste strategie, si presentano, nella pratica, come repliche che si avvalgono di una metodologia non market cap weighted, spesso aggiungendo un’esposizione a uno o più factors (multi-factors) che funziona secondo regole stabilite. Se si desidera quindi sovraperformare il mercato sotto il profilo del rendimento o replicare tale rendimento assumendosi però meno rischi, ci si spinge nel campo delle strategie smart beta aggressive o difensive più classiche perdendo parte dei risparmi visti sopra con l’abbandono delle MCW ed esponendosi anche a rischi diversi da quelli di mercato. Lo step successivo, aumentare cioè il rendimento oltre quello di mercato quando possibile mostrando però nel contempo anche la capacità di mitigare il rischio nel caso di scenari avversi, il tuttocon costi accessibili, renderebbe le strategie rule based di nuova generazione “realmente” affidabili durante tutto l'orizzonte temporale dell'investimento, portandole a costituire a quel punto una vera alternativa alla gestione attiva. Se si considera poi che la stessa "gestione" si basa oggi in larga parte su tecniche d' investimento automatizzate nonché sull’impiego di ETF, si nota come, a fronte di strategie rule based più bilanciate ed efficienti nel tempo, questa difficilmente conserverebbe parte dei vantaggi che le consentono oggi di dominare le allocazioni Core dei portafogli. In tal senso, la spinta che deriva dall’odierna riduzione delle fees anche per la categoria Smart Beta, storicamente e logicamente più onerosa, risulta fondamentale, non solo nel raffronto con la gestione attiva ma soprattutto per rendere “sostenibile”, grazie ai maggiori volumi che ne deriverebbero, l’inevitabile incremento dei costi conseguente alla maggiore complessità: in altre parole, senza una riduzione delle fee non ci sarebbero molte possibilità per gli smart beta di insidiare da vicino il primato della gestione attiva (a parte i pessimi risultati della stessa, si intende).

Se le nuove multifactor riscuotono successo coadiuvando i benefici di più fattori, non dovrebbe stupire nemmeno il successo delle strategie dividend. Uno degli aspetti più importanti da tenere a mente, nel campo smart beta, risiede infatti nell’evidenza che strategie più complesse non necessariamente sono le uniche a cogliere beneficio da più fattori ma che questa è piuttosto una caratteristica in un certo grado implicita anche in strategie molto più semplici che fanno oltretutto del loro essere meno onerose un ulteriore vantaggio in termini di performance. A tal proposito, proprio il successo dei prodotti dividend o in generale earning focused (diamo per scontato quello delle strategie foundamental nel lungo periodo e low volatility in tempo di crisi) nel tempo, si spiega anche col fatto che questi sono in grado di fornire un discreto grado di “sensitiveness” anche ad altri factors. Si pensi a come una dividend weighted, colga in parte il premio collegato a Quality e Value ma possa, tramite l’esposizione alle mid small cap, anche incassare il premio legato al size con persino una riduzione della volatilità implicita nei fattori. Proprio grazie all’aumentato grado di sensibilità a più fattori, le dividend riescono a mantenere un grado di efficienza maggiore nel tempo. Un altro esempio potrebbe essere costituito dal fatto che strategie Momentum o Quality, entrambe basate su considerazioni sulla potenziale crescita di un’azienda, potrebbero offrire l’accesso a al fattore Growth in modo anche più accessibile e meno rischioso rispetto ad una strategia dedicata, che includerebbe oltretutto , secondo molti, maggiore volatilità oltre a necessitare di uno sforzo economico maggiore oggi per essere acquistata. Secondo gli ultimi dati diffusi da BlackRock, a fronte di asset correnti per 363 miliardi di dollari investiti in smart beta ETF, le dividend dominano la scena con 173 miliardi di asset mentre le multifactor sono al secondo posto con 63 miliardi ma condividono con le prime un’altissima media di nuovi investimenti YTD già a metà 2017. E le evidenze confermano anche la superiorità nel tempo di questi approcci. Se si rapportano infatti le caratteristiche di rischio rendimento dell’S&P 500 evidenziatesi negli ultimi 15 anni con i risultati delle più diffuse strategie beta si osserva una distribuzione che in generale sovraperforma l’indice con rendimenti maggiori ottenuti, in media, da strategie minimum volatility, quality , low volatility, high dividend e dividend aristocrats mentre growth, buyback e high dividend sono le uniche ad aver ottenuto rendimenti paragonabili pur al prezzo di un beta più elevato. Per avere un idea della vera e propria invasione di strategie smart beta ,specialmente multifactor di nuova generazione, che sta avvenendo negli Stati Uniti in previsione dell’entrata in vigore della Fiduciary Rule, ma prevedibilmente a breve anche in Europa grazie ai cambiamenti MIFID II, basta fare una rapida carrellata dell’ultimo mese di nuove quotazioni sul segmento ARCA del NYSE, Bats Exchange e Nasdaq:

- Legg Mason ha emesso due ESG ETF , con ulteriore componente smart beta di tipo growth nel primo caso, dividend nel secondo;

- ha cominciato a tradare il Cambria Core equity ETF che associa ad azioni stabili una strategia in opzioni per migliore il profilo di rischio;

- il Formulafolio Hedged Growth ETF, investe in un portafoglio di altri ETF levereged in base a considerazioni su momentum e nuovi trend che stanno vedendo la luce ribilanciandosi però su ETF Treasuries, inverse equity o short in caso di mercati al ribasso;

- Goldman Sachs, per la sua linea low cost smart beta “Access”, ha lanciato un bond corporate ETF inv grade che include un ranking basato sui fondamentali e margine operativo nei tre settori di utilities, industrials e financials e una pesatura dei titoli selezionati equal weighted;

- Guggenheim ha portato sul mercato una strategia che include 7 fattori

- Victory capital ha quotato un ETF che si propone di partire da un approccio quality associandolo a logiche minimum volatility per aumentare il rendimento tenendo bassa l‘incertezza.

-Oppenheimer Funds chiesto l'approvazione SEC per quattro nuovi smart beta con focus su US large caps, US small caps, developed world ex-US equities e emerging market equities in grado di aggiustare dinamicamente la propria esposizione a cinque fattori a seconda dello stato attuale del ciclo economico, nel dettaglio i 5 fattori sono: size, momentum (11-mesi return), quality (leverage e profitability), value (cash-flow yield, earnings yield, sales-to-price per paese) e low volatility (5-year volatility).

Prima di operare un investimento smart beta è bene considerare che oltre all’efficienza della strategia in se e nel contesto di applicazione, una corretta valutazione non può prescindere da considerazioni circa la validità dello strumento ETF in cui essa è incorporata oltre che sull'impatto della stessa sul portafoglio specifico. Sempre in merito ai rischi degli ETF rule based, è bene concludere ricordando che l'universo smart beta è molto più vasto di quanto si creda, Spesso infatti, molti investitori adottando strategie di questo tipo senza nemmeno rendersene conto sottovalutando la reale portata di termini come market capped weighted o equal weighted. Si tratta di alcune delle prime strategie smart beta implemetate i cui effetti sull'indice di riferimento sono tutt'altro che scontati. Una semplice strategia capped sulla capitalizzazione o sul GDP può infatti salvare da bolle speculative, come quella giapponese di fine anni '80 , in occasione della quale questi sistemi di pesatura alternativa dei titoli videro per la prima volta la luce, mentre un'equal weighted (sempre sul valore di mercato) può far passare Apple dal peso di 3.61% che ricopre nell'S&P 500 ad uno 0.2% (condiviso con il titolo meno capitalizzato dell'indice) evidenziato nell'S&P 500 Equal Weight Index con addirittura un ribilanciamento settoriale assolutamente non trascurabile. Se nel sector breakdown dell’S&P 500 osserviamo IT 23.2% Financials 13.7% Consumer discretionary 12.5% Health Care 13.9%, i settori principalmente rappresentati nella controparte equal weighted differiscono sostanzialmente con Consumer discretionary al 16.1% IT solo al 14.3% (si è visto sopra il caso di Apple), Industrial 13.4% mentre Financials 12.3% e Health Care 12.2% restano simili. In data giugno 30, il colosso da 13 miliardi di dollari Guggenheim S&P 500® Equal Weight ETF, primo al mondo per AUM su questo indice,(NYSEArca:RSP) ha tagliato le fee dal 0.40% allo 0.20%, un taglio secco del 50%. La guerra degli smart beta alla gestione attiva entra nel vivo.


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