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  • Luca Baj

La natura giuridica della criptovaluta


Cosa sono le criptovalute?

Beni, servizi, valore, valuta?

Molte volte ci si trova di fronte al problema di voler descrivere o definire una cosa, un fenomeno, un evento; e spesso lo si fa per motivi speculativi.

Ma i giuristi ben sanno che ogni fatto descrittivo ha un riflesso sul piano giuridico prima, e fattuale dopo.

Perché è dal piano giuridico che si trascende a quello ontologico.

Il definire un fenomeno consente di descriverne i contorni, la sua essenza, i suoi confini di operatività, ma soprattuto le regole che lo governano.

Lo sviluppo delle criptovalute porterà innegabilmente alla necessità di una regolamentazione planetaria. Diversamente, del resto, non potrebbe essere, dal momento che le criptovalute ambiscono a raggiungere il traguardo della sovranazionalità, o meglio, della globalità.

In molti hanno sottolineato la straordinaria opportunità che le criptovalute possano mettere in crisi il monopolio statale sul denaro, ponendo a disposizione dei consumatori una forma di moneta sottratta al controllo da parte delle banche centrali, una moneta nata dal mercato e per il mercato.

VISIONE FINALISTICA - La criptovaluta come denaro

Se la funzione principale è quella di consentire transazioni come “mezzo di pagamento” analogamente a quello che convenzionalmente (prima, e per legge dopo) avviene proprio per il denaro, la criptovaluta deve essere rilegata alla categoria giuridica propria appunto del denaro.

Allora, è possibile considerare la cliptovaluta come riserva di valore, mezzo di scambio, unità di conto e strumento per pagamenti futuri.

Tuttavia, in un mondo di monete a corso forzoso, il denaro in senso tecnico è solo quell’insieme di banconote e monete cartacee che viene emesso, o autorizzato – nel caso del denaro bancario – dalle banche centrali, e che da esse riceve valore legale. In altri termini, in tutti gli ordinamenti statali moderni – Italia e Unione Europea comprese – esistono norme che stabiliscono che il denaro con cui si possono pagare i debiti ai propri creditori (senza che i creditori possano legittimamente rifiutarlo) e con cui si devono pagare le tasse è quello indicato dalle autorità monetarie.

In Italia come nel resto d’Europa e del mondo, non è di per sé vietato produrre e far circolare forme alternative di “denaro”, ma i creditori possono legittimamente rifiutare tale denaro, ed esso non sarà di per sé valido per estinguere le obbligazioni tributarie, per cui dal punto di vista delle autorità statali, non si può parlare di “denaro” in senso tecnico, ma di qualcos’altro.

Ciò, peraltro, si spiega con la genesi del denaro stesso, e del valore che deriva dal riconoscimento diffuso, tanto maggiore quanto la valuta sia imposta dallo Stato.

VISIONE FINANZIARIA - La criptovaluta come strumento finanziario

Una seconda ipotesi da qualificazione è quella di ricondurre la criptovaluta alla categoria di “prodotto finanziario”: essa può infatti essere estratta o acquistata anche con finalità di investimento dei propri risparmi, per guadagnare dall’atteso aumento di valore degli stessi, sfruttando quindi il fenomeno speculativo sotteso.

Anche i “prodotti finanziari” in senso tecnico sono soltanto quelli che ricadono in una definizione ufficiale, fornita in questo caso dal Testo Unico della Finanza, secondo il quale sono tali «gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria».

Tale impostazione è diametralmente opposta rispetto a quella trattata in precedenza, in quanto il TUF prevede che «i mezzi di pagamento non sono strumenti finanziari».

I sostenitori della tesi in esame confermano che la riconoscibilità della criptovaluta al sistema finanziario non sia “perfetta”, ma al tempo stesso ritengono che sia meno distante rispetto alla assimilazione al denaro.

E’ però innegabile che la loro attuale diffusione ha una duplice valenza e finalità: quella dell’investimento e quella di pagamento, a maggior ragione per quelle criptovalute di cui si sta diffondendo sempre maggiormente il riconoscimento come mezzo di pagamento a tutti gli effetti.

Le tematiche sottese ad un inquadramento della criptovaluta come strumento finanziario non ci convincono.

Se si analizza il nostro compendio normativo, ci accorgiamo che direttamente, o indirettamente, il TUF, quando parla di strumento finanziario, lo identifica nel “prodotto - fine" di un investimento, e non come mezzo per conseguire un’altra utilità.

E, al contempo, lo sottopone ad una disciplina alquanto stringente per quanto attiene all’emissione, alla circolazione, alla negoziazione che, volendo fare una fotografia della situazione attuale, vorrebbe dire essere infranta ad ogni millesimo di secondo.

VISIONE UTILITARISTICA - La criptovaluta come merce di scambio

Coloro che affermano che la criptovaluta debba essere inquadrata come merce di scambio, rinvengono in essa un elemento ancestrale.

Partendo proprio dalla considerazione che il denaro, in un inquadramento storico-giuridico, nasce come merce, non vengono rinvenute asimmetrie rispetto alla criptovaluta nelle funzioni tipiche che il denaro stesso assolve.

Con l’avvento delle monete, comunque prive di qualunque valore di mercato se non fosse per il riconoscimento impresso delle autorità monetarie, il denaro cessa di essere percepito come una merce.

La criptovaluta è “storicamente” un passo indietro rispetto al denaro, e recupera questo scarto temporale nel porsi nella propria funzione originaria analoga, come abbiamo detto, a quella del denaro.

C’è chi ha definito la critovaluta come una “quasi-commodity money”.

Tuttavia, stante la sua immaterialità, perché formato da un codice informatico, la criptovaluta è certamente più vicino al denaro - merce in senso proprio, più di quanto non lo sia al denaro emesso dalle banche centrali.

Del resto il suo valore intrinseco non è imposto da una istituzione, come potrebbe essere una banca centrale, ma deriva dal mercato, e quindi dall’esito delle transazioni che il mercato gli imprime.

Senza poi entrare troppo nel specifico, non si può tralasciare che secondo l’art. 810 c.c. «sono beni le cose che possono fare oggetto di diritti».

Naturalmente si tratterà di un bene mobile, e soprattutto, per via della sua ricordata natura priva di qualunque supporto fisico, di un bene immateriale.

VISIONE DI BENE INTELLETTUALE - La criptovaluta come opera dell’ingegno

L’assimilazione ad opera dell’ingegno è certamente da intendersi in senso non tradizionale.

Non si è sicuramente di fronte ad un’opera artistica o di un’invenzione industriale.

Pare però vero che l’acquisto della proprietà a titolo originario di uno o più criptovalute avviene tramite l’impiego di risorse sia economiche, sia “intellettuali”, da intendersi certamente non in senso stretto (dal momento che le operazioni vengono compiute da macchine), ma pur sempre estrinsecantisi nella soluzione di un problema e nella creazione di un bene nuovo, prima non esistente, univoco, e avente la caratteristica di essere privo di una materialità intrinseca.

Non in modo diverso rispetto alle creazioni classiche dell’ingegno, dove l’impiego di strumenti artificiali non inficia il potere del loro titolare di escludere altri dal loro utilizzo, anche per le criptovsalute il fatto che le operazioni per la loro estrazione vengano compiute da macchine non modifica il fatto che esse vengano compiute su impulso di un essere umano, utilizzando potenza di calcolo acquistata da altri esseri umani che l’hanno prodotta, e pertanto il loro titolare possa difendersi dalle aggressioni di terzi con strumenti concettualmente analoghi a quelli dei beni immateriali tradizionali.

Così come la proprietà intellettuale, la natura di bene immateriale della criptovaluta non viene meno per il fatto di essere incorporata in un bene fisico: un conto è una scultura con la sua corporeità, un altro è il diritto del suo autore di vedersi riconosciuto autore dello stesso, o eventualmente sfruttarne economicamente il suo utilizzo da parte di terzi.

Allo stesso modo, un conto sono i supporti su cui sono salvate e conservate le unità di criptovaluta, un conto è il diritto di disporne. In entrambi i casi, è giusto tenere distinti i due aspetti, ed è possibile identificare un bene immateriale pur quando questo venga conservato o si estrinsechi tramite un supporto fisico.

Ciò rende peraltro impossibile l’utilizzo della stessa criptovaluta a parte di più soggetti, stante l’unicità della “unità” e unicità della criptovaluta singola.

Questa ricostruzione appare, altresì, coerente con l’impostazione che mette correttamente in evidenza la natura originaria di merce del denaro.

Le criptovalute hanno evidenti differenze rispetto a tutti gli altri beni che storicamente sono stati impiegati come denaro, a cominciare dai metalli preziosi, che mantengono una propria utilità anche a prescindere dall’utilizzo come denaro; tuttavia, il fatto di metterne in luce la natura originaria di bene (per quanto immateriale), utilizzato poi come moneta, consente di recuperare la reale natura del denaro.

CONCLUSIONI

E’ importante considerare gli effetti che derivano da un inquadramento della criptovaluta.

Proviamo a pensare alle convenzioni internazionali in tema di obbligazioni, che sanciscono principi sostanziali ma anche processuali, quali, per esempio, la giurisdizione.

Non di minore importanza, l’argomento afferente al trattamento fiscale, che subisce oscillazioni valutative a seconda dell’inquadramento.

Proviamo a pensare se la criptovaluta fosse moneta.

Sicuramente la produzione di denaro non produce alcun effetto redittuale, perché sono le banche centrali ad emetterli, ma certamente senza alcuna finalità di lucro.

L’attività dei miner è esattamente opposta.

La creazione di criptovalute, che consegue la soluzione di algoritmi a validazione delle transazioni, è meramente con finalità speculativa.

Le attività di investimento in criptovalute, in questo caso, come dovrebbero essere trattate?

La soluzione è differente a seconda che si voglia sostenere la “tesi monetaria”, per la quale si verificherebbe l’assoggettamento in misura analoga a quella di operazioni su valute, o quella finanziaria, che subirebbe un regime positivo analogo a quello degli esprimenti finanziari.

Sarebbe in tal caso esclusa l’imposizione IVA, come se si trattasse di denaro, ma al contrario se si volesse ritenere che la criptovaluta sia merce.

Se fosse un bene immateriale, il modello si complicherebbe ulteriormente, perché il tutto sarebbe sottoposto alla necessità di una valutazione, terza ed indipendente, della criptovaluta, tenendo come parametro il valore attribuito a un bene immateriale può essere quantificato come il costo di sostituzione del bene, ovvero dell’insieme delle prestazioni necessarie alla sua realizzazione.

Questi sono esempi per dimostrare concretamente le tematiche al problema della DEFINIZIONE.

In conclusione, si ritiene che, in assenza di creazione di una specifica e nuova figura giuridica ad opera del legislatore, nel diritto italiano attuale le criptovalute possano assimilarsi ad una nuova categoria di bene immateriale, a sé stante, ma con dei punti di contatto con la proprietà intellettuale.

Occorrerà comprendere quale indirizzo il legislatore nazionale o sovranazionale intenderà seguire, nel momento in cui intenderà normare questo “fenomeno”, perché da lì ne deriveranno conseguenza sul piano pratico assolutamente rilevanti.


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