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  • Luca Baj

Vincolo paesaggistico e rilievo penale


L’interpretazione finalistica della norma incriminatrice (art. 181 dlv 42/2004) – che individua un reato di pericolo rispetto alla realizzazione di lavori che potrebbero incidere sul bene penalmente protetto del paesaggio e che dunque possono essere effettuati soltanto dopo aver conseguito la prescritta autorizzazione – impone certamente di considerare anche i volumi tecnici. Benché questi, non comportando carico urbanistico, siano di regola irrilevanti ai fini del giudizio sulla sussistenza dei reati di cui all’art. 44, comma 1, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, potendo gli stessi determinare un diverso impatto a livello di paesaggio, debbono invece essere considerati, ove emergenti dal terreno e dunque visibili, ai fini del giudizio sulla sussistenza del reato di cui all’art. 181 d.lgs. 42/2004

Ecco la sentenza integrale.

Cass. Sez. III n. 2288 del 19 gennaio 2018 (Ud 28 nov 2017) Presidente: Ramacci Estensore: Reynaud Imputato: Esposito Beni Ambientali.Rilevanza penale dei volumi tecnici RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 12 febbraio 2015, la Corte d’appello di Napoli, giudicando sull’appello proposto dagli odierni ricorrenti, ha confermato la sentenza emessa Tribunale di Napoli – sez. distaccata di Capri il 25 novembre 2013, che aveva condannato Francesco Esposito e Stefania Gargiulo alla pena di nove mesi di reclusione ciascuno per il reato di cui all’art. 181, comma 1-bis, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, per avere eseguito in Anacapri, senza la prescritta autorizzazione paesaggistica, i lavori descritti in imputazione su bene sottoposto a vincolo paesaggistico-ambientale in quanto insistente su area dichiarata di notevole interesse pubblico. 2. Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso, nell’interesse degli imputati, il loro difensore, deducendo un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. 3. Richiamando la sent. Corte cost. 23 marzo 2016 n. 56, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-bis, d.lgs. 42/2004 nella parte in cui la pena ivi prevista era ritenuta applicabile anche ai lavori eseguiti in aree che per le loro caratteristiche paesaggistiche fossero state dichiarate di notevole interesse pubblico – ciò che nel giudizio di merito aveva determinato l’affermazione della loro responsabilità penale - i ricorrenti deducono che i lavori non autorizzati oggetto di contestazione non rientrano più nel campo di applicazione della fattispecie delittuosa, non comportando il superamento delle volumetrie indicate nella norma incriminatrice. Il fatto sarebbe dunque riconducibile alla fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 181, comma 1, d.lgs. 42/2004, sicché, essendo stato commesso nel 2008 come accertato in primo grado, sarebbe stato già prescritto al momento della pronuncia della sentenza d’appello qui impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato. Nella giurisprudenza di legittimità è consolidato l’orientamento secondo cui, per effetto della sentenza della Corte cost. 23 marzo 2016, n. 56, che ha dichiarato la parziale incostituzionalità dell'art. 181, comma 1-bis, d.lgs. 42/2004, integra la contravvenzione prevista dal comma primo di detto articolo ogni intervento abusivo su beni vincolati paesaggisticamente, tanto in via provvedimentale che per legge, configurandosi invece il delitto previsto dal successivo comma 1-bis nella sola ipotesi di lavori che superino i limiti volumetrici ivi indicati» (Sez. 3, n. 33047 del 19/04/2016, Mozer e a., Rv. 268033; v. anche, in motivazione, Sez. 3, n. 38976 del 07/04/2017, Guadagno e a.). Detti limiti sono alternativamente indicati: nell’aumento superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria; in un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi; nella realizzazione di una nuova costruzione con volumetria superiore a mille metri cubi 2. Nel caso di specie, le opere sono state realizzate – si legge in imputazione - presso un preesistente manufatto abusivo avente superficie di ml. 5.40 x 9.45 e altezza di m. 2.80, per un volume complessivo di mc. 142,88, sicché il fatto potrebbe ritenersi tuttora riconducibile alla fattispecie delittuosa soltanto se i lavori avessero determinato nuova volumetria per oltre 42,864 mc. Come parimenti si legge in imputazione, gli stessi sono consistiti, oltre che in finiture del manufatto (posa in opera di intonaci alle pareti esterne) ed in opere esterne che non creano volumi (un’area di corte in battuto in cemento, un muretto di contenimento del terreno sovrastante, una rampa di scale di collegamento tra cortile e area terrazzata, un viale in battuto di cemento, la realizzazione di un cancello di accesso alla proprietà con due pilastri in muratura), nella realizzazione di alcuni piccoli locali tecnici e di due tettoie con copertura di materiale plastico leggero sorrette da pali in legno. 3. Ciò premesso, reputa il Collegio che ai fini dell’applicazione della norma de qua debbano essere considerati i soli volumi tecnici, mentre non possano valutarsi le tettoie. 3.1. Quanto al primo profilo, l’interpretazione finalistica della norma incriminatrice – che individua un reato di pericolo rispetto alla realizzazione di lavori che potrebbero incidere sul bene penalmente protetto del paesaggio e che dunque possono essere effettuati soltanto dopo aver conseguito la prescritta autorizzazione (Sez. 3, n. 11048 del 18/02/2015, Murgia, Rv. 263289; Sez. 3, n. 21029 del 03/02/2015, Dell’Utri, Rv. 263978) – impone certamente di considerare anche i volumi tecnici. Benché questi, non comportando carico urbanistico, siano di regola irrilevanti ai fini del giudizio sulla sussistenza dei reati di cui all’art. 44, comma 1, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, potendo gli stessi determinare un diverso impatto a livello di paesaggio, debbono invece essere considerati, ove emergenti dal terreno e dunque visibili, ai fini del giudizio sulla sussistenza del reato di cui all’art. 181 d.lgs. 42/2004. La conclusione trova conferma nel recente d.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31 (“Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata”), che assoggetta anche detti manufatti al rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 146 dello stesso Codice, sia pur prevedendo una procedura semplificata laddove gli stessi abbiano contenuta volumetria. L’Allegato B al suddetto decreto – che individua gli interventi soggetti ad autorizzazione paesaggistica da rilasciarsi con procedura semplificata – contempla infatti, al punto B.17, la realizzazione di «manufatti accessori o volumi tecnici con volume emergente fuori terra non superiore a 30 mc.», con ciò implicitamente confermando che ai fini dell’applicazione della disciplina della tutela penale del paesaggio, e dunque anche dell’integrazione dell’ipotesi delittuosa prevista dall’art. 181, comma 1-bis, d.lgs. 42/2004, il concetto di volumetria rilevante è diverso da quel invece vale sul piano penale urbanistico. 3.2. Venendo al secondo dei cennati profili, deve osservarsi come la stessa disposizione B.17 dell’Allegato B al d.P.R. 31/2017 considera, ai medesimi fini, anche la «realizzazione di tettoie, porticati, chioschi da giardino di natura permanente e manufatti consimili aperti su più lati, aventi una superficie non superiore a 30 mq». Pure le tettoie aperte sui lati, dunque, possono compromettere il bene penalmente tutelato e necessitano della previa autorizzazione paesaggistica, da rilasciarsi con la procedura semplificata. Dette opere, tuttavia, non sono suscettibili di essere valutate sul piano della volumetria - che è dimensione geometrica apprezzabile con riguardo alle figure solide tridimensionali, vale a dire a quelle chiuse sui lati - come la stessa disposizione appena citata conferma individuandone l’impatto paesaggistico con riferimento alla sola superficie. Poiché, dunque, l’art. 181, comma 1-bis d.lgs. 42/2004 nel testo risultante a seguito della declaratoria d’illegittimità costituzionale parziale effettuata con sent. Corte cost. n. 56/2016 circoscrive la fattispecie delittuosa ad opere valutabili in termini di volumetria, in omaggio al principio di tassatività, le tettoie debbono ritenersi estranee al suo campo di applicazione, ricadendo invece nella residuale ipotesi contravvenzionale prevista dal primo comma della disposizione. 4. Ciò premesso, deve concludersi che le dimensioni complessive dei locali tecnici oggetto di contestazione nel caso di specie sono ictu oculi inferiori al 30% della volumetria del manufatto originario quale sopra indicata. Dalla precisa descrizione delle opere contenuta in imputazione risulta, di fatti, che il locale tecnico di cui al n. 3 dell’imputazione aveva volumetria di mc. 9,45, i due locali tecnici di cui al n. 5 avevano volumetria di mc 2,65 e mc. 0,55, l’alloggiamento per le bombole di gas di cui al n. 5 aveva volumetria pari a 0,67, per complessivi mc. 13,32. Il fatto è dunque riconducibile alla contravvenzione di cui all’art. 181, comma 1, d.lgs. 42/2004 e così dev’essere riqualificato. 5. Poiché la sentenza di primo grado ha accertato che le opere – pur oggetto di denuncia a seguito del sopralluogo effettuato il 30 marzo 2011 - erano state ultimate già nell’estate del 2008, tanto che con sent. 25 novembre 2013 il Tribunale di Napoli – sez. dist. Di Capri aveva dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione delle contravvenzioni urbanistiche ed edilizie contestate con riferimento agli stessi abusi, la riqualificazione comporta l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato, siccome riqualificato, estinto per prescrizione. Deve conseguentemente revocarsi l’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese dei condannati impartito con la sentenza di primo grado. P.Q.M. Qualificato il delitto di cui all’art. 181, comma 1-bis, d.lgs. 42/2004 come contravvenzione, annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione. Revoca l’ordine di rimessione in pristino. Così deciso il 28/11/2017.​


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