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Terre rare


Dopo gli svariati attacchi da parte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump a suon di tweet, dazi e dichiarazioni più o meno minacciose, durante queste ultime settimane abbiamo assistito al “velato” contrattacco cinese: la guerra commerciale sta spingendo Pechino e il presidente Xi Jinping a riconsiderare la sua strategia sulle terre rare. Il nome porta alla mente paesaggi brulli e lontani, con un non so che di mistico. In realtà, sono più vicine che mai, potremmo dire a “portata di mano”. Da quelle terre esotiche, infatti, proviene la maggior parte dei materiali che compongono i nostri smartphone, pc e tablet, ma anche turbine eoliche, auricolari, microfoni, schermi LCD e al plasma, magneti, veicoli ibridi, videocamere, batterie ricaricabili e via dicendo.Insomma, compongono quasi l’intera tecnologia del terzo millennio. Tecnicamente le REEs (Rare Earth Elements) sono elementi chimici presenti in abbondanza nella crosta terrestre, con proprietà fisiche e chimiche uniche, diventati vitali per lo sviluppo delle più moderne e sofisticate tecnologie. Risalenti al lontano 1789, quando Carl Axel Arrhenius, tenente dell’esercito svedese, scoprì un minerale nero in una piccola cava a Ytterby, una cittadina vicino a Stoccolma: da quel minerale, che era in realtà una miscela di terre rare, fu isolato per la prima volta il cerio nel 1803. Fu grazie al chimico e mineralista svedese Carl Gustav Mosander che vennero scoperti e isolati molti altri materiali a partire dal 1843, fino ad arrivare nel 1947 all’isolamento di tutte le singole terre rare in forma elementare. Perché si definiscono “rare”? Non perché non si trovino in abbondanza (per esempio, lantanio, cerio, neodimio e ittrio sono più abbondanti di piombo o argento e perfino 200 volte più comuni dell’oro), ma perché, seppur presenti in diversi tipi di minerali, sono sparsi in giro per il mondo. La rarità è data dalla scarsità di giacimenti abbastanza grandi e concentrati da rendere conveniente l’attività estrattiva. La disponibilità del più grande giacimento al mondo di questi elementi è in Cina, precisamente a Bayan Obo, nella Mongolia interna, dove si trova il giacimento di terre rare più grande del pianeta. Costituito da tre corpi minerari principali, si estende in lunghezza per 18 chilometri e costituisce il 50% della produzione di terre rare cinesi. Prima della metà degli anni Sessanta i principali produttori erano gli Stati Uniti, grazie alle riserve della miniera di Mountain Pass, nel sud-est della California. Ma, a partire dagli anni 2000, il primato passò a Pechino, che ha gradualmente monopolizzato la produzione globale di questi elementi (circa il 95%). Come documentato nel report stilato nell’aprile scorso dallo U.S. Geological Survey, tra il 2011 e il 2017 la Cina ha prodotto circa l’84% delle terre rare del mondo, seguita dall’Australia con circa l’8% della produzione.


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