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Il virus può propagarsi anche ai sistemi economici e sociali più fragili

Aggiornamento: 12 mar 2020

Le conseguenze sui sistemi economici e sociali di misure restrittive atte a contenere l'evoluzione del virus potenzialmente infettivo per l'intera popolazione mondiale potrebbero essere decisamente preoccupanti. Chi fa previsioni oggi sull'evoluzione del contagio di un virus sconosciuto, non controllabile o non contenibile con i normali vaccini in circolazione, è uno sciocco o un incosciente. Se l’unico rimedio per combatterlo è l’isolamento, la cura potrebbe creare più danni del male stesso. Dal punto di vista economico la crisi che ne potrebbe scaturire è differente da quella del 2001 e 2008: la prima, tra le 2 più simile in qualche modo a questa, ci ha privato delle sicurezze relative al nostro privilegio relativo allo status di occidentale, ha fatto crollare le certezze inerenti l’inviolabilità e la sicurezza dei nostri stati e dei nostri territori; le conseguenze sono state panico e paura, che hanno generato contrazione dei consumi e indotto a sostanziali modifiche del nostro stile di vita. Ma in quel caso i sistemi economici hanno continuato a produrre e gli stimoli monetari sono riusciti a sostenerli e riavviarli. La seconda era una crisi tutta finanziaria, che ha messo in luce la vulnerabilità di quel mondo e che è stata combattuta con armi finanziarie e monetarie, appartenenti agli stessi sistemi, che però non sono state in grado di risolvere i problemi strutturali di fondo: la sovraesposizione ai debiti, le logiche produttive rivolte più al passato che al futuro, l’eccesso di assistenzialismo dei sistemi sociali e l’inadeguatezza della classe dirigente politica e privata. Gli stati più fragili non hanno mai risolto i problemi di fondo e le banche centrali hanno solo consentito di nasconderli sotto una valanga di liquidità. Questa crisi è diversa, perché il fattore scatenante, esterno, colpisce i sistemi più vulnerabili e ne evidenzia, e lo farà nei prossimi mesi, tutte le pericolose carenze sia in ambito economico che sociale e sanitario. Il rimedio messo in atto, ossia bloccare un paese già sull'orlo del precipizio, significa dargli il colpo di grazia. Quando quello che sta accadendo in Lombardia, regione che vanta da sempre uno dei più efficienti sistemi sanitari europei, inizierà ad accadere altrove, dove la sanità, l'organizzazione, l'autodisciplina non sono allo stesso livello, il collasso potrebbe trasferirsi anche allo stato sociale. Mi riferisco al sud Italia ma anche al resto d'Europa, dove la pericolosità del contagio è ancora oggi stupidamente sottovalutata. Se le persone inizieranno ad avere paura, se saranno costrette a chiudersi in casa per evitare di saturare ospedali e pronti soccorso, inevitabilmente i consumi e la produttività crollerà. Le conseguenze di tali scenari sono abbastanza evidenti: le industrie, le piccole e medie imprese, le attività commerciali di ogni settore e genere che già faticavano a rimanere a galla subiranno gli effetti di un ulteriore crisi in brevissimo tempo. E con queste i lavoratori di ogni specie e ruolo ad esse collegate. Le precedenti crisi hanno richiesto enormi sforzi da parte delle istituzioni politiche, economiche e finanziarie di tutto il pianeta, sforzi che hanno prodotto risultati progressivamente meno soddisfacenti a fronte di stimoli sempre maggiori. E questo in una congiuntura che era certamente meno negativa di quella che alcuni paesi, in testa l’Italia ma non certo da sola in Europa, stanno attraversando in questo periodo. Come sempre accade, gli shock ai sistemi arrivano da incognite che i modelli matematici non ponderano ne considerano, essendo sconosciute agli stessi. E’ accaduto l’11 settembre del 2001, è accaduto ad ottobre del 2008. In entrambi i casi è stata la prima volta. Accade anche questa volta.

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