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Le banche centrali non possono essere i motori delle economie
Anche di fronte a questa nuova crisi economica, come accaduto nel 2008, immediata è stata la reazione delle banche centrali che hanno assicurato interventi molto consistenti con l’acquisto di titoli pubblici e privati. Hanno cioè messo a disposizione molta liquidità per aiutare a coprire gli squilibri di cassa che il blocco dell’attività economica stava iniziando a generare presso imprese e famiglie e per facilitare il collocamento del debito pubblico necessario a finanziare le spese più urgenti per sanità e sistemi sociali. La BCE prima e la Fed poi hanno dichiarato di accettare in garanzia i cosiddetti junk bonds, cioè i titoli più rischiosi, per prevenire l’effetto perverso che potrebbe avere sulla solvibilità di imprese e governi il deterioramento dei rating che le apposite agenzie dovranno prossimamente abbassare. Le politiche monetarie hanno dunque dovuto metter nuovamente da parte i programmi di normalizzazione che avevano avviato dopo più di un decennio di interventi straordinari.
La dimensione di tali interventi, proporzionali alla gravità dei problemi, si coglie guardando i bilanci delle principali banche centrali. Nello specifico, le attività della banca centrale statunitense, giapponese, cinese e della BCE, sono passate da meno di 5 miliardi di dollari nel 2007, ai quasi 22 miliardi della fine di marzo di quest’anno. Questo ha ovviamente fatto salire il rapporto fra tali attivi e la dimensione reale delle economie, misurata dal loro Pil, cosicchè dal 2007 a oggi il bilancio della Fed americana è passato da circa il 6 % ad oltre il 18% del Pil Usa; quello della Banca del Giappone dal 20% al 105%, e quello della BCE dal 12% al 40% del Pil dell’eurozona. Quello che sta dunque accadendo è che l’aumento della quantità degli attivi si alimenta a scapito della qualità, cosicchè le banche centrali, che dovrebbero assicurare la stabilità fianziaria, divengono esse stesse più rischiose. La liquidità che si crea è sempre meno efficace nell’alimentare l’economia e tende a ristagnare nelle banche commerciali e a finire ridepositata e inerte nelle stesse banche centrali. Inoltre accade che nei confronti della finanza pubblica l’espansione monetaria ha spesso effetti perversi sia sui governi troppo austeri, che continuano a spender troppo poco perché lasciano la responsabilità di alimentare la domanda alla politica monetaria, sia sui governi con deficit eccessivi che li vedono facilmente finanziati dalle banche centrali. Oltre a tutto ciò la sovrabbondanza di liquidità tende a comprimere i tassi di interesse sui titoli di scadenze diverse appiattendone la struttura e la percezione del rischio.
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