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Vanguard lancia i suoi primi ETF ESG La fee war è pronta ad accendersi anche sull’investimento soste


E’, per masse in gestione, il secondo asset manager al mondo (oltre i 5000 miliardi di dollari) ed il solo ad aver insidiato, in passato, lo strapotere di BlackRock grazie soprattutto alla sua politica di compressione delle commissioni, questa resa possibile da un’intera struttura societaria finalizzata alla conversione dei profitti in ulteriori riduzioni delle stesse. Non è mai stata in linea con la concorrenza circa la promozione di prodotti sempre più complessi, come ad esempio gli smart beta multifattoriali più sofisticati, spiegando che, spesso, l’implementazione di strategie molto elaborate non porta reali benefici in termini di rischio rendimento rispetto a soluzioni meno articolate ma, piuttosto, le rende meno comprensibili e dunque più pericolose per un investitore non professionale. Naturalmente, stiamo parlando di Vanguard, issuer decisamente “contro corrente” (ma primo ad aver messo sul mercato un replicante passivo), la cui gamma, mai distintasi per essere particolarmente vasta, dedicava finora all’investimento sostenibile, una sola soluzione, peraltro commercializzata da oltre diciotto anni, costituita dal fondo indicizzato FTSE Social Index Fund ( fondo, che vanta oggi oltre quattro miliardi di dollari di asset). Come anticipato a giugno con il deposito dei documenti necessari presso la SEC, Vanguard, con un apparente “ritardo” rispetto alla concorrenza, ha finalmente deciso di offrire al pubblico una gamma ETF ESG, per ora composta da soli due strumenti ossia il Vanguard ESG U.S. Stock ETF e il globale Vanguard ESG International Stock, che arrivano sul mercato americano con una expense ratio pari a solo dodici punti base (0.12%), ossia solo di poco superiore alla fatidica soglia dello 0.1%, al di sotto della quale, sul mercato americano, osano quasi solo le categorie di prodotto più semplici (plain vanilla). Considerato lo spessore dell’emittente, pur non essendo questo, il livello commissionale più basso del mercato (Xtrakers e Templeton sono sul mercato americano con alternative che richiedono qualche punto base in meno, e la stessa Xtrakers rinnova il primato di issuer più cheap in campo ESG anche su Borsa Italiana, ottenendolo però con lo 0.15% di TER ) si preannuncia, un “remake” di quanto osservato in primavera in campo smart beta, quando Goldman Sachs ha rivoluzionato il settore abbattendo le fees della propria gamma ETF multifactor, proprio sotto l’1%, meritandosi, per questo, l’appellativo di “Vanguard degli smart beta”. Oggi la raccolta ESG stenta rispetto ai livelli record del 2017 e per le alte quotazioni degli indici borsistici e per le molte tensioni geopolitiche ma, soprattutto, questo è il risultato dell’applicazione di commissioni elevate in un periodo nel quale il popolo degli investitori ha emesso una sentenza che non lascia spazio ad interpretazioni: il 97% dei flussi in ingresso sugli ETF negli ultimi dodici mesi è stato convogliato in strumenti con un profilo commissionale inferiore allo 0.20% (dati Bloomberg Iintelligence). Una sentenza amara per un mercato che si colloca per oltre il 70% al di sopra di questa soglia, ma dolce per chi, come Vanguard ha il solo scopo di guadagnare quote di mercato abbattendo le spese, in un mercato che conserva grandi prospettive a patto che la sostenibilità, sia “sostenibile” anche per il portafoglio dell’investitore. Nessun dubbio, infatti, sul fatto che l’applicazione all’investimento di principi ESG possa essere un importante alleato per la gestione del rischio, che possa indirizzare l’investimento verso un rendimento più stabile nel tempo (si tratta di investimenti di medio lungo termine) e che una progressiva modernizzazione del concetto di “valore” interessi anche agli investitori del prossimo futuro, come millennials e il pubblico femminile. Oltre all’avvento dei criteri ESG, che hanno finalmente portato coerenza e oggettività nelle valutazioni in merito all’impatto ambientale e alle caratteristiche che contraddistinguono l’aspetto sociale e di governance, la sostenibilità dell’investimento, trova oggi il suo più importante alleato nelle istituzioni, che dopo gli accordi di Parigi, hanno chiaramente e a più riprese reso noto che sosterranno il cambiamento direttamente e indirettamente con una serie di interventi normativi atti a stimolare l’imprescindibile coinvolgimento del privato. L'obbiettivo è quello di instaurare un circolo virtuoso in grado di muovere i trilioni necessari a mantenere gli impegni assunti.

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