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Il bilancio di sette anni di presidenza di Mario Draghi


Mario Draghi traccia un bilancio dei sette anni condotti alla presidenza della Banca centrale europea. Durante il suo insediamento aveva inaugurato la politica del “whatever it takes” per cercare di proteggere la moneta unica europea investendo l’istituto di Francoforte come principale protagonista del salvataggio. Lo scenario era quello post crisi fiscale del biennio 2010-2011 e le banche nazionali stavano varando politiche protezionistiche mentre il presidente della Bce dichiarava “Il mercato interbancario non funziona”; il rischio di crollo della zona euro era più di un’ipotesi. L’eco delle parole di Draghi fu immediato, ma ancora più difficile era mantenere le promesse fatte attraverso strumenti concreti e in grado di rilanciare l’operato di Francoforte. I rendimenti della zona euro però calavano e già dopo soli sei mesi avevano sfiorato gli otto decimi percentuali per scendere maggiormente, a settembre 2014, attorno ad un -2%. Il nostro paese in particolare, a causa della fragilità economica, era stato investito da questo biennio sciagurato, ma le sole dichiarazioni di Draghi avevano già ridotto di 250 punti lo spread (da 530 a 280 punti) che si era sgravato del rischio di ridenominazione (possibilità di uscita dall’euro). Nello stesso periodo sono calate notevolmente anche le spese dovute agli interessi che sono passate, nell’intera eurolandia, da 75 a 65 miliari nella media di quattro trimestri per poi scendere nuovamente nella fase di acquisto dei titoli di stato. Di contro non si sono apprezzati gli risultati sui tassi nominali che sono rimasti fermi a fronte del calo dell’inflazioni che ha incrementato notevolmente i tassi reali nel periodo considerato.

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