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Fiona, la ragazza d'acciaio


Fiona Kolbinger durante la Transcontinental Race

Si chiama Fiona Kolbinger, è una ragazza di 24 anni e sui pedali ha preceduto più di 200 uomini e 40 donne. Si è portata a casa la Transcontinental Race, una gara di endurance di 3.999 chilometri - più lunga, dunque, del Tour de France – ma che, rispetto alla "regina delle corse" ha molte, fondamentali differenze.

Eccone alcune. Prima di tutto, non è una gara organizzata dall'Unione Ciclistica Internazionale e non vi partecipano corridori professionisti, né tesserati di ogni tipo. In altri termini, è aperta a tutti.

Poi, non ci sono tappe. O meglio: ce n'è una sola - con un punto di partenza, uno d'arrivo e alcuni passaggi obbligati (ognuno, dunque, si può organizzare il percorso come meglio crede, e personalizzarsi le pause sonno: basta passare dai check point). E il cronometro non si ferma mai.

Ancora, non c'è copertura televisiva, ma vengono stabiliti vari controlli in strada e alle biciclette si applicano Gps, per controllare la posizione. Quarta differenza importante, non si può procedere in gruppo, ma individualmente, proprio come accadeva nel ciclismo dei primordi – ciò significa che, sebbene si parta tutti insieme, la corsa procede con la logica di una cronometro. Quinto, si pedala su strade percorse dal traffico normale.

Infine, la gara è mista – senza distinzione tra prova maschile e femminile. E quest'anno, come detto, se l'è portata a casa una donna, che ha battuto tutti gli uomini in gara.


La cinese Zhang Shan, medaglia d'oro nello skeet a Barcellona 1992, portata in trionfo dai suoi avversari più forti: il peruviano Juan Giha, argento (a sinistra) e l'azzurro Bruno Rossetti, bronzo (a destra)

E qui occorre fare un passo indietro, ricordando un'ovvietà che renderebbe felice Monsieur de La Palice, o Lapalisse che scriver si voglia. E cioè che generalmente, negli sport individuali olimpici, le gare sono divise tra competizioni maschili e femminili. Attualmente, ai Giochi, fa eccezione a questa regola soltanto l'equitazione, dove gli uomini e le donne gareggiano insieme, con classifiche unificate e podi unici. In questo sport, tra i due sessi, non c'è alcuna disparità: i dati (aggiornati a Rio 2016) ci dicono che a cavallo, l'atleta più medagliata olimpica di sempre è proprio una donna – la tedesca Isabelle Werth – che con sei ori e quattro argenti precede il connazionale Reiner Klimke (stesso numero di ori, ma "solo" due bronzi). E più di una volta, i podi olimpici sono stati "tutti rosa".

In passato, ai Giochi, erano miste anche le gare con le armi da fuoco: la divisione tra competizioni maschili e femminili è stata introdotta nel 1984 per il tiro a segno e nel 1996 per il tiro a volo. Canto del cigno delle "gare aperte" olimpiche, il primo e unico oro conquistato da una donna in questa specialità con la partecipazione mista – a vincerlo, la cinese Zhang Shan nello skeet, a Barcellona 1992.


Alfonsina Strada

E nel ciclismo? Nel ciclismo, le gare ufficiali senza distinzione fra uomini e donne sono cose di una volta. Di quando, più di cent'anni fa, una ragazza aveva osato sfidare i colleghi maschi a colpi di pedivella. Il suo nome era Alfonsa Morini, anche se è più nota come Alfonsina Strada, cioè con il cognome del primo marito.

La sua è una vera epopea. Innamorata della bicicletta fin da bambina, corre su strada e su pista e inanella successi in giro per l'Europa. Nel 1911, a Moncalieri, stabilisce persino il record dell'ora donne (37,192 km/h), frantumando quello della francese Louise Roger – anche se il primato non risulta negli albi d'oro: la federazione internazionale avrebbe iniziato a omologarli nel 1955, con i 38,473 della sovietica Tamara Novikova.

Tra una gara e l'altra, Alfonsina si cimenta anche in competizioni campestri miste: in un circuito, a Stupinigi, è l'unica donna su 50 uomini, e arriva settima. Certo, sono competizioni locali, non grandi classiche. Ma l'Alfonsina non vuole porsi limiti e nel 1917 chiede di partecipare al Giro di Lombardia. L'organizzatore Armando Cougnet dice di sì: siamo in piena guerra, alla classica partecipano solo atleti di cittadinanza belga, francese e italiana, alcuni ciclisti sono al fronte e c'è bisogno di corridori.

Al traguardo, Alfonsina arriva ventinovesima e ultima, a un'ora e mezza dal vincitore, il belga Philippe This – ma dietro di lei ci sono 25 atleti che non hanno completato la gara. L'anno dopo replica al Lombardia, e riesce persino a evitare l'ultimo posto all'arrivo: in volata brucia Carlo Colombo e si piazza penultima, a 23' dal vincitore Tano Belloni. Quattordici, comunque, i ritirati.

L'apice della sua carriera è la partecipazione al Giro d'Italia 1924, quando Alfonsina ("la regina della pedivella") ha già 33 anni: qui fa corsa a sé in fondo alla classifica - troppo duro il confronto con gli uomini, e forse aver passato le trenta primavere influisce. Nell'ottava tappa (L'Aquila-Perugia) arriva fuori tempo massimo, fiaccata da cadute e forature. Viene riammessa alla corsa, ma fuori classifica: può quindi terminare il Giro (e lo fa), ma senza essere inclusa nella graduatoria finale. Ma non conta – come non conta che la sua è l'unica partecipazione a un grande giro e la fine di una favola: federazione e organizzatori piazzano precisi paletti. Alfonsina chiude comunque la carriera avendo battuto per 36 volte corridori maschi.


Lael Wilcox

La storia di Alfonsina Strada chiude il breve libro delle corse ufficiali aperte indistintamente a uomini e donne. Ma ciò che esce dalla porta rientra, decine di anni dopo, dalla finestra. Cioè, come già anticipato, nelle gare di ciclismo endurance. Non ufficiali, non per tesserati, ma comunque imprese da titani. Queste competizioni si moltiplicano e iniziano a mostrare, decenni dopo, emule di Alfonsina Strada, che se la giocano con gli uomini.

All'inizio, non ad armi pari. Ma a rovesciare il tavolo è l'americana Lael Wilcox, alla Eastbound Trans Am Bike Race, una massacrante corsa amatoriale di circa 7000 chilometri da una costa all'altra degli Usa. A circa 210 chilometri dal traguardo, Lael raggiunge il fuggitivo, il greco (nato in Germania) Steffen Streich, dopo un inseguimento di due settimane.

A quanto si racconta, il corridore propone all'avversaria di arrivare insieme, forse in un gesto di cavalleria. Ma lei gli risponde: "neanche per sogno: questa è una corsa". E si aggiudica la competizione in 18 giorni e 10 minuti. Streich arriva secondo e primo degli uomini: strano a dirsi ma è così.

L'anno seguente, Lael polverizza il record assoluto (cioè quello maschile) alla Baja Divide, un'altra maxi-gran fondo tra gli Usa e il Messico. E nel 2018 arriva seconda nella Navad 1000, massacrante competizione endurance tra le durissime montagne svizzere.

Lael non è sola. In un altro sport - l'ultra running, che è una specie di maratona moltiplicata per "n" volte - la veterinaria scozzese Jasmin Paris regola tutti di corsa nella Montane Spine Race 2019 - una massacrante gara ad alta quota di oltre 430 chilometri da una parte all'altra del Vallo, provvista di salite belle toste - battendo tutti i record.



Una rondine non fa primavera, due forse, tre assolutamente sì. E' Fiona Kolbinger a confermare il trend e la sua storia è ancora più incredibile. Perché la tedesca è quasi una matricola per questo tipo di corse: prima di provare la Transcontinental Race 2019, a quanto risulta, ha partecipato solo a una Londra-Edimburgo-Londra. Per il resto, di questa atleta si sa poco: sa suonare il piano (lo fa a Bourg d'Oisans, in tenuta da gara, durante una sosta in albergo) ed è studentessa di oncologia pediatrica: si dice che durante gli allenamenti pre-gara si fermi di tanto in tanto a ripassare gli appunti.

Alla partenza, il suo sogno è di arrivare fra le prime tre donne. Già concludere la gara nel tempo massimo, però, è un'impresa non per tutti.

La corsa parte da Burgas, in Bulgaria e ha quattro passaggi obbligati: il monumento del Partito comunista bulgaro del tempo che fu; il Besna Kobila, in Serbia; il Gasthof zu Traube, tra Corvara e il Passo del Rombo (che divide il Tirolo del Nord da quello del Sud) e la leggendaria Alpe d'Huez, resa mitica dal Tour, con controllo all'Hotel de Milan a Bourg d'Oisans. La gara attraversa poi la Francia puntando verso nord e finisce a Brest, in Bretagna. Totale, 3.999 chilometri. Il tempo massimo (che è specificato per ciascun passaggio obbligato) vincola i corridori a presentarsi all'arrivo entro il 12 agosto alle 5.00. Fiona arriva molto prima: la mattina del 6, prima delle otto, lei è già al traguardo. La sua gara è completata in 10 giorni, 2 ore e 48 minuti; il secondo, nonché primo degli uomini, è Ben Davies, staccato di circa 12 ore. Che sembra tanto, ma per una gara del genere è davvero un'inezia.

Determinante nel successo di Fiona è la resistenza: riesce a fare il doppio giro dell'orologio pedalando per 500 chilometri e, in media, viaggia per 15 ore al giorno, a una media di 20 km l'ora. Importante anche la pianificazione del percorso, che nelle gare di endurance può consentire di risparmiare parecchi chilometri – e quindi tempo e fatica. Ma non si può dimenticare l'ingrediente indispensabile per vincere nel ciclismo, quasi una regola matematica formulata dal grande Alfredo Binda: "ghe voeuren i garon". E di garon, - oltre che di testa - Fiona ne ha da vendere.

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