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Tour Felice


Felice Gimondi in giallo a Parigi (Tour de France 1965)

Lo scorso 16 agosto è scomparso Felice Gimondi. Abbiamo voluto onorare uno dei più grandi corridori di sempre rievocando il Tour de France 1965, che vinse contro ogni pronostico e che ne rivelò le doti di fuoriclasse del pedale.



Chi ha disegnato la frazione conclusiva del Tour de France 1965 non sembra privo di gusto del paradosso e di un sense of humour più londinese che transalpino. Da una parte, infatti, la cronometro raggiunge Parigi da Versailles - antica residenza dei re di Francia voluta dal Re Sole e simbolo dell'autocrazia monarchica. Dall'altra, l'ultimo atto del Tour si svolge il 14 luglio, data simbolo della République. Sembrerebbe un assist all'assolutismo e uno alla rivoluzione.

Naturalmente, non è così. Ma, che questa sia una strana coincidenza oppure no, c'è comunque una certezza: la tappa è una frazione adattissima a Jacques Anquetil, da quattro anni indiscusso re del Tour. Non potrebbe essere altrimenti, trattandosi di una cronometro: il normanno, sulle prove contro il tempo, ha costruito la sua leggenda, che lo ha visto vincere cinque Tour in otto anni. E questa edizione della Grande Boucle, di prove contro il tempo, ne conta ben tre individuali e una a squadre.

Se non che, Anquetil ha deciso di non partecipare, anche se è il campione uscente. Ha scelto, invece, di disputare il Giro del Delfinato e la Bordeaux-Parigi, una massacrante gran fondo di 600 chilometri. Le due competizioni si svolgono a fine maggio; la prima è in programma dal 22 al 29 e la seconda prende il via il 30, alle 2 di notte. Per consentirgli di partire in tempo, anticipano di un'ora la partenza dell'ultima tappa, la Romans-Avignone; poi lo trasferiscono in tutta fretta dall'aeroporto di Nîmes-Garons a Bordeaux con un Mystère 20, messo a disposizione dallo stato su preciso ordine del presidente Charles de Gaulle. Se al posto del generale ci fosse stato un qualsiasi Luigi, è lecito immaginare che il ponte aereo si sarebbe svolto negli stessi termini.

Anquetil vince entrambe le corse e al Tour non va: ritiene probabilmente di non poter recuperare in tempo. O forse si sente appagato con il poker calato l'anno prima.

Così, in maglia gialla, all'ultima crono che parte da Versailles, c'è un 22enne neoprofessionista che corre per la Salvarani. Un giovanissimo corridore che alla Grande Boucle neppure ci doveva venire: è stato inserito in organico solo perché un compagno di squadra, Bruno Fantinato, ha dato forfait per un problema al ginocchio. O almeno questa è la versione ufficiale: qualcuno ritiene che il direttore sportivo della Salvarani, Luciano Pezzi, abbia capito che il giovane ha stoffa e che lo voglia provare.

Comunque sia, il neoprofessionista in questione è nato a Sedrina il 29 settembre 1942 e ha già conquistato il terzo posto nel Giro d'Italia, dietro a Vittorio Adorni - di cui è gregario alla Salvarani - e Italo Zilioli. Il suo nome è Felice Gimondi.


Il tracciato del Tour de France 1965

Il ragazzo, le strade di Francia le conosce già. Nel 1964, infatti, ha vinto il Tour de l'Avenir, che è considerato il Tour de France dei dilettanti. Ha battuto per 42" Lucien Aimar, classe 1941, l'uomo che nel 1966 vincerà la Grande Boucle, quella dei "grandi", aiutato da un Anquetil improvvisatosi gregario. All'Avenir, Felice ha conosciuto la fatica e la durezza di quei percorsi, di quelle salite. Ma non può difendere quella vittoria perché è passato professionista. E ora si trova a un passo dal trionfo nella competizione più importante del ciclismo mondiale.

Eppure, all'inizio, nessuno ci avrebbe scommesso un centesimo. Probabilmente, neppure Pezzi: quando gli chiede di andare al Tour al posto di Fantinato, lo rassicura, promettendogli che non avrà responsabilità, che il suo unico compito sarà di aiutare Adorni e che potrà andarsene a casa dopo il primo giorno di riposo, se sarà troppo stanco.

La proposta, per Felice, è molto, molto allettante. Ma, nonostante sia professionista e abbia conquistato un terzo posto al Giro, non può dire di sì subito. Ha promesso al padre, trasportatore, di dargli una mano in quel periodo. E poi ha un'occupazione che lo impegna nel tempo libero dalle corse, sebbene sia già professionista: la mamma lavora alla posta e lui l'aiuta (con regolare contratto). E' un ragazzo per bene, lui le promesse le onora, non lascia a piedi nessuno, tanto meno i suoi genitori: deve chiedere il nulla osta a papà e mamma. Natruralmente ottiene il via libera. E alla partenza di Colonia, il 22 giugno, è davvero convinto di aiutare il suo capitano a tenere botta al favorito, quel Raymond Poulidor che è già arrivato due volte sul podio, e che vuole approfittare dell'assenza di Anquetil per vestire la maglia gialla per la prima volta nella sua vita e portarla fino a Parigi.

Felice sente la gamba, la sente alla grande. Nella cronometro a squadre deve addirittura rallentare per non staccare i compagni. Nella seconda tappa, a Roubaix (nella parte in cui non c'è il "mitico" pavé), allunga con altri due compagni di fuga, si fa battere nel velodromo dal velocista belga Bernard Van de Kerkhove e balza al secondo posto della generale: il terzetto ha staccato il gruppo di 14", mentre lo sfortunato Poulidor cade e si prende 1'19".

Il giorno dopo, si va da Roubaix a Rouen, questa volta con il pavé, e arrivano tappa e maglia. Anzi: maglie: quella gialla, quella bianca di miglior giovane e quella verde della classifica a punti. Distacco del suo capitano, Vittorio Adorni: oltre 2 minuti – mentre il vantaggio su Poulidor supera addirittura i 3. Roba da fiaccare un elefante. O da indurre un senso di appagamento: una tappa vinta e il giallo addosso alla prima partecipazione. Tanto più che quelli che fino a ieri erano modelli da imitare e ora sono in gruppo con lui, si congratulano. Roba da far perdere la testa.

E invece lui no, la testa non la perde. Mantiene l'approccio da gregario. E lo dimostra durante la settima tappa, che da Le Baule porta a La Rochelle: Adorni fora e Gimondi lo aspetta, anche se è in giallo. Come un qualsiasi subalterno con il suo capitano di squadra.

Proprio in quella tappa, Felice perde la maglia. Sembrano aver ragione quelli che hanno pensato "non dura", puntualizzando che di giovani corridori che hanno condotto la corsa per qualche giorno e poi si sono presi i minuti è piena la storia dei grandi giri.

E invece, queste persone si sbagliano: alla nona tappa, quella dell'Aubisque e del Tourmalet, Gimondi torna in giallo. Sui Pirenei si delineano le gerarchie: dopo la decima frazione, quella del Portet d'Aspet, la classifica vede primo Gimondi e secondo Poulidor, a 3' 12".

Si lasciano i Pirenei, si arriva al Ventoux e il transalpino attacca. Felice razionalizza le forze che ha: sa che se chiede troppo al suo fisico, rischia di andare fuori giri e il suo Tour è finito. Poupou vince la tappa e arriva a un soffio dalla maglia gialla. Ma Gimondi riesce a mantenerla, per soli 34". Gli attacchi di Poulidor proseguono anche sulle Alpi, ma Gimondi resiste; riesce persino a guadagnare 5 secondi sul beniamino dei tifosi francesi.

Resta tutto aperto. Il crocevia di quel Tour è la cronoscalata alpina del Mont Revard, dove il sorpasso è praticamente dato per certo: Poulidor va bene in salita e va bene contro il tempo, ha vinto la prima crono proprio precedendo Gimondi.

I corridori sono in strada, e al primo intertempo l'uomo di Masbaraud-Mérignat ha già 18 secondi sul bergamasco. Se va avanti così, il sorpasso è garantito: alla partenza il distacco era di 39". Ma al secondo intertempo, la maglia gialla ha già azzerato il ritardo. E a fine tappa distacca ulteriormente Poulidor e porta il suo vantaggio a oltre un minuto. Inizia a pensare che il Tour lo si possa vincere davvero.

E la vittoria arriva. Gimondi compie il percorso degli antichi monarchi francesi in modo regale: fa sua anche la crono di 37,8 chilometri, con 30" di vantaggio su Gianni Motta e 1'08" su Poulidor. Il Tour è suo: Poupou aggiunge un secondo posto alla sua lunga schiera di piazze d'onore e termina a 2' 40"; terzo posto per Motta, a 9' 18".



Felice Gimondi viene premiato a Parigi. Quasi non ci crede. Intanto, praticamente nessuno, in quella giornata di trionfo, sa che nell'aprile precedente (quindi pochi mesi dopo Gimondi) è passato al professionismo un ventenne belga, tale Eddy Merckx. Qualcuno magari lo ha sentito nominare, ma nessuno può immaginare che in breve tempo diventerà l'erede di Fausto Coppi, scomparso da appena cinque anni e qualche mese.

Merckx apre il 1966 vincendo la Sanremo, battendo involata Adriano Durante e il belga Herman van Springel – e il 21enne viene aggiunto alle nuove promesse del ciclismo. Ma il dualismo su cui il mondo del ciclismo punta è quello – tutto lombardo – fra Felice Gimondi e Gianni Motta: il ragazzo di Cassano d'Adda è arrivato terzo nel Tour del 1965, ma vince il Giro del 1966, precedendo Italo Zilioli (3'57"), Jacques Anquetil (4'40") e Julio Jiménez (5'44"). Gimondi arriva quinto a 6'47"; il suo compagno di squadra Adorni settimo a 8'00".



Felice Gimondi in rosa al Giro 1967

Al Giro del 1967, Gimondi rende la pariglia a Motta: vince la corsa rosa, mentre il rivale è sesto a 6'21". Il giovane Merckx si affaccia alla top ten con un nono posto, a 11'41", dopo aver conquistato due tappe. E' la sorpresa del Giro: si piazza primo al Block Haus e tutti si stupiscono, si chiedono come faccia quel ragazzo con la stazza da passista ad andare così bene in salita. Ma non sono in pochi a pensare che questo Merckx (che prima del Giro ha fatto il bis a Sanremo e si è aggiudicato anche Gand-Wevelgem e Freccia Vallone) sia fortissimo nelle classiche, ma non proprio un corridore da grandi giri. Al massimo da vittoria di tappe, ma non da trionfo finale. Il quadro che sembra uscire è quello del duo Gimondi-Motta come futuri duellanti per i grandi giri, con l'inserimento di Merckx nelle gare da un giorno - tra l'altro, a fine stagione il belga diventa campione del mondo, bissando l'iride dilettanti del 1964.

E invece il 1968 è l'anno in cui Eddy si afferma definitivamente come "Cannibale". Gimondi fa in tempo a vincere la Vuelta e a compiere la clamorosa impresa di conquistare la "tripla corona" (cioè aggiudicarsi i tre maggiori giri): prima di lui ci era riuscito solo Anquetil. Ma, lo stesso giorno in cui Felice – in soli tre anni e mezzo di carriera da professionista – entra nello strettissimo novero dei corridori più vincenti di sempre, Merckx si porta a casa il Tour de Romandie. E' la prova generale del Giro d'Italia, che è la prima grande corsa a tappe vinta da Eddy: sul podio ci finiscono Adorni, a 5'01", e Gimondi, staccato di 9'05". Un vero trionfo per il belga, che si afferma sulla scena come un corridore completo, che va bene dappertutto.

I colleghi, Felice in testa, capiscono che è nato un fuoriclasse. Ma non è tanto alla corsa rosa, quanto alla successiva "Volta" di Catalogna – che si svolge a settembre – che il bergamasco comprende la portata del suo rivale. Al Giro, Gimondi aveva perso ma aveva battuto Merckx a cronometro, ormai sua riserva di caccia. Qui, invece, si fa staccare di 38" in una corsa contro il tempo, che porta i corridori da Figueres a Roses, per una distanza di 45 chilometri. E' una delusione pazzesca: per la prima volta, viene preceduto dal belga a cronometro. E la consapevolezza che nulla sarà più uguale, e che quel belga – come avrebbe ricordato Felice – è "di un altro pianeta".


Eddy Merckx e Felice Gimondi

Merckx inizia a vincere di tutto. Felice Gimondi è il suo più pericoloso rivale, ma molto spesso gli finisce dietro. Anche se le vittorie del belga – per dirla con un'espressione pugilistica – sono più frequentemente "ai punti" che non per ko. Ma questo conta fino a un certo punto: a parlare, alla fine, sono gli albi d'oro.

Così, paradossalmente, il secondo corridore al mondo a vincere i tre grandi giri in pochi anni viene bollato come "eterno secondo", e non si scrollerà di dosso quella curiosa etichetta fino alla conquista del suo primo mondiale, nel 1973 al Montjuich: qui precederà in volata Freddy Maertens, Luis Ocaña e lo stesso Merckx, finito fuori dal podio.

Poi, il belga ricomincia a vincere. E' il suo destino: vuole sempre arrivare in prima posizione, non vuole lasciare neanche gli avanzi. Il Cannibale, appunto. Come avrebbe ricordato Vittorio Adorni, per un certo periodo suo compagno di squadra, se in una corsa ci fosse stato un traguardo volante con in palio un salame, lui avrebbe sprintato per aggiudicarsi il salame. Fino a quando arriva il Tour del 1975, quello del giovanissimo Francesco Moser in maglia gialla per sei giorni. Quella Grande Boucle vede Eddy soccombere a Bernard Thévenet. Il secondo posto a Parigi segna la fine della monarchia assoluta di Merckx. A partire da quella premiazione, la sua stella inizierà a declinare bruscamente: il Cannibale vincerà solo una decina di corse. Tutte competizioni di second'ordine, se eccettuiamo la Sanremo del 1976, a dieci anni dal suo primo acuto.

E Gimondi? Gimondi - più vecchio di tre anni rispetto a Merckx – se la gioca ancora: proprio nel 1976 vince il suo terzo Giro d'Italia, dopo una battaglia con un altro belga: Johan de Muynch. Lo precede di 19", strappandogli la maglia rosa all'ultima cronometro. Merckx si piazza ottavo, a 7'40". Ha trionfato praticamente dappertutto, ma il suo dominio è finito, mentre Felice vince ancora. E' stato il pre-Merckx ed è il post-Merckx: a 11 anni dal trionfo di Parigi, veste il rosa a Milano.

18 maggio 1978. Eddy Merckx, che non corre più da due mesi, annuncia ufficialmente il suo ritiro dalle competizioni. Felice Gimondi, in quel momento, sta correndo la tappa Terni-Assisi del Giro d'Italia, e ha nientemeno che il numero 1 sulla schiena. Il detentore della corsa rosa è Michel Pollentier, che però quest'anno ha deciso di correre il Delfinato per prepararsi al Tour (in cui sarà squalificato all'Alpe d'Huez per una bruttissima storia di doping). E allora il numero 1 è assegnato al vincitore di due anni prima, che – appunto – è Gimondi. In rosa c'è Johan De Muynch, l'avversario di Felice nel Giro del 1976, che ora è diventato suo compagno di squadra alla Bianchi-Faema. Il campione di Sedrina non ha più ambizioni di vittoria finale (a fine corsa si piazzerà undicesimo), ma aiuta, come un normale gregario, il suo ex avversario, ora capitano. Lo pilota, A Milano, De Muynch chiude con il rosa, precedendo Gianbattista Baronchelli e Francesco Moser. E' l'ultimo acuto di Gimondi, che si prenderà il lusso di ritirarsi qualche mese dopo il grande amico-rivale Eddy Merckx.



Amici-rivali sono, amici per la pelle restano. Negli anni, il dualismo Gimondi-Mercks diventa un binomio: ricordando quegli altri, non è facile pensare l'uno senza l'altro. Si trovano al seguito della carovana, si trovano per rimpatriate, si trovano per conferenze, si telefonano. L'ultima chiamata risale a due settimane prima dell'improvvisa scomparsa di Felice. Poi, il dolore della perdita. "Se ne va una parte della mia vita", commenta distrutto il Cannibale, distrutto, neanche avrà la forza di volare a Bergamo per dargli l'ultimo saluto. Se ne va una parte della vita dell'amico Eddy, con cui Felice ha percorso così tanti chilometri. Se ne va una parte della vita di tanti sportivi e tifosi, ancora increduli che quell'uomo semplice e buono, quel campione che si definiva "artigiano della fatica", quel gigante che fece sognare generazioni abbia lasciato questa terra.

Mentre caricano le sue spoglie mortali sul carro funebre, precedute da due motociclette della polizia, come fosse la staffetta di una tappa o di una classica, un tifoso alza una maglia della Salvarani. La squadra con cui Gimondi, professionista da pochi mesi, vinse di prepotenza il Tour. Il Tour Felice.

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