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Italia: una storia di poca crescita e tanto debito attraverso XX e XXI secolo

L’Italia, nonostante le dimensioni della sua economia, è costantemente nel mirino di mercati e agenzie di rating. Le cause della situazione perigliosa in cui versa il nostro paese - che come un funambolo spende ogni giorno in precario equilibrio sopra una corda – sono note a tutti i suoi cittadini: una crescita stentata e un debito pubblico colossale. Nell’articolo di oggi vogliamo raccontare la storia strana del rapporto PIL-debito pubblico: una storia che parte da lontano, con un inizio prevedibile, uno svolgimento piuttosto noioso e un finale che, repentinamente, si fa avventuroso.



IL PIL: UNA CRESCITA STENTATA

Per comprendere al meglio l’andamento del Pil nella storia italiana dal primo dopoguerra ai giorni nostri, è utile suddividere l’analisi in periodi storici.

Il primo periodo che prendiamo a riferimento è quello che intercorre tra il 1915 e il 1929. Dopo un’iniziale caduta registrata nel 1915, anno dell’entrata in guerra dell’Italia, c’è una ripresa sia della produzione industriale che del Pil tra il 1916 e il 1917, si attestano ai massimi livelli raggiunti nel 1913. Alla fine della Prima Guerra Mondiale e fino al 1921 l’Italia vede un calo del PIL di circa il 9%. Dal periodo post-bellico al 1929 il tasso di crescita annuale dell’Italia è un notevole 4%, con un picco del 6,1% annuo tra il 1922 e il 1925, epoca riconosciuta come la fase liberale del regime fascista, grazie anche all’aumento delle esportazioni.

Il secondo periodo storico parte dal 1929, anno della Grande Depressione, fino a poco prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale. L’Italia, nel 1929, rispetto ad altri Paesi in cui lo shock economico si è fatto subito sentire, viene colpita inizialmente solo in maniera marginale dal crack, con un incremento annuale dell’1,2%, per poi segnare una diminuzione del 5,1% della ricchezza prodotta dal Paese al netto dell’inflazione. Subito dopo la crisi e fino al 1939, la crescita è in media dell’1% annuo.

Il terzo periodo storico coincide con l’inizio della Seconda Guerra Mondiale, che si rivela una vera e propria catastrofe economica per il nostro Paese. Infatti, tra il 1940 e il 1945, il Pil cala ogni anno di quasi il 10%, soprattutto quando la guerra si combatte in territorio italiano. Si tratta però di un periodo circoscritto poiché già nel 1949 il Pil italiano registra uno dei livelli massimi postbellici, superando del 10% il livello del 1939. Nel dopoguerra, le decisioni strategiche prese dal governo del tempo hanno aiutato a far crescere il livello di benessere del nostro Paese, grazie anche ad una apertura al commercio estero e il sempre maggior ruolo dello Stato quale produttore di beni e servizi.

Il periodo storico immediatamente successivo è denominato “età dell’oro”. Tra il 1950 e il 1973, il Pil pro-capite aumenta in media del 5,3% annuo. Sono anni segnati da una forte crescita della produzione industriale e della produttività sul fronte lavoro. Ma non solo: l’italiano cresce non solo economicamente ma anche culturalmente e socialmente grazie anche ad una migrazione di massa dalle campagne alle città e al maggior investimento nel consumismo di massa. Anche i servizi sanitari pubblici migliorano insieme alle pensioni di anzianità e alla crescita di opportunità lavorative a lungo termine, sconfiggendo gran parte della precarietà e della povertà con una distribuzione più egualitaria del reddito.

Come spesso succede però, l’età dell’oro ha vita breve e agli inizi degli anni 70’ comincia a registrarsi un calo della crescita economica italiana. Si entra in quella che poi verrà chiamata “età d’argento”, epoca considerata senza infamia e senza lode. Tra il 1973 e il 1992 il Pil pro-capite cresce ancora al tasso del 2,5% l’anno, risultato considerato sorprendentemente buono.

A partire dagli anni 80’ si nota un rallentamento della crescita, più vistoso negli anni 90, fino ad una sostanziale stasi con ampie recessioni nel corso degli anni 2000. Gli anni 90’, infatti, registrano sostanzialmente una performance deludente, causata soprattutto dalla bassa crescita della produttività. Tra il 2005 e il 2007 c’è una timida ripresa per poi crollare, nel 2008 a causa della più grande crisi economica dopo il crack di Wall Street. Il Pil, quell’anno, perde più di 5 punti percentuali, toccando i minimi storici, se non il dato peggiore degli ultimi 30 anni1.

Il 2010 viene archiviato con una crescita del Pil dell’1,3%. Da quel momento l’Italia è considerata un Paese a crescita zero. Da vent’anni, infatti, il prodotto interno lordo italiano non si smuove -se non di qualche decimale- dallo zero, registrando una crescita dello 0,2% annuo. La causa è da ricondursi all’incapacità di rientro dalla crisi del 2008. Infatti, rispetto a 12 anni fa dobbiamo ancora riconquistare 4,2 punti percentuali di Pil2.

Il periodo storico che stiamo vivendo, secondo i primi dati, sembrerebbe esser ancora peggiore rispetto alla crisi del 2008. Lo shock economico causato dall’avvento del virus porterà ad una perdita del 6% qualora il 90% delle attività potesse riprendere a fine maggio, altrimenti le previsioni andranno al ribasso. I primi due trimestri del 2020 hanno registrato una caduta del Pil pari al 10% rispetto allo stesso periodo del 2019 ed è considerata la peggiore caduta del prodotto interno nella storia del Paese3.



IL DEBITO PUBBLICO

Nel saggio “Note sul debito pubblico italiano dal 1885 ad oggi”, l’ex commissario Consob Roberto Artoni ha proposto una ricostruzione storica dell’andamento del passivo dello Stato italiano, volto a dimostrare come «periodicamente i fini assunti dall’azione politica non fossero coerenti con le risorse reali o finanziarie effettivamente mobilitabili o utilizzabili»4. Artoni ha individuato 4 grandi momenti di crescita del debito rispetto al Pil: i primi 3 sono stati riassorbiti nel giro di qualche anno, l’ultimo (quello che stiamo vivendo da 30 anni) è ormai cronico, nonostante gli sforzi compiuti5.

Il primo boom del debito italiano si verifica nel 1897 con la caduta del Pil dovuta alla Grande Depressione di fine Ottocento, quando raggiunge il 117% del Pil. Solo con la tumultuosa crescita economica del periodo giolittiano, il debito pubblico torna a scendere a quota 70%6.

La seconda crisi di finanza pubblica è connessa alla partecipazione dell’Italia alla Prima Guerra Mondiale: secondo uno studio di Vera Zamagni, nel primo dopoguerra l'enorme debito contratto per lo sforzo bellico arriva a toccare il 160% del Pil. La sistemazione - o la cancellazione di fatto - dei debiti di guerra, oltre che con una rilevante caduta del debito interno, consente di riassorbire completamente il debito: nel 1926 il rapporto debito-Pil è pari a 517.

La terza impennata del debito pubblico è generata dagli effetti della crisi economica del 1929, che tornano a far gonfiare il debito portandolo all'88% del Pil nel 1934, con una spesa costante in termini nominali, ma una rilevante diminuzione delle entrate. Il buon andamento economico di quegli anni contribuisce a ridurre progressivamente il passivo che torna però a gonfiarsi con l’entrata dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale. Nel 1943 il debito raggiunge il 108% del Pil; ma negli ultimi due anni del conflitto e nell’immediato secondo dopoguerra un’inflazione spaventosa sbriciola il debito, riportando il rapporto con il Pil al 40% (nel 1946).

Nelle prime tre occasioni quindi l’Italia con l'aiuto di condoni e inflazione è riuscita a riportare sotto controllo i suoi conti pubblici.

La parte più interessante è quella che riguarda il quarto momento di accumulo del debito pubblico, che va dal 1974 (in cui si conta un debito del 54,5% del Pil) al 1994 (con un rapporto tra debito e Pil al 124,3%). Antoni, nel suo saggio, ha affermato che «ciò che è successo in quel ventennio è il problema veramente aperto visto che per la prima volta nella storia d’Italia non stiamo riuscendo a riassorbirlo».8

Tra gli anni 70’ e gli anni 80’, la situazione delle nostre finanze pubbliche inizia a precipitare. Nel 1973 la crescita resta intorno al 3% medio annuo, ma con la crisi petrolifera esplode un’inflazione galoppante che unita a un aumento della spesa pubblica porta il debito pubblico al 55,4% del Pil.9

Il debito per un periodo rimane stabile, perché dal 1975 la Banca d’Italia si impegna a garantire il successo delle aste dei titoli di Stato, stampando moneta per comprare le obbligazioni rimaste invendute: in questo modo il costo dell’aumento del debito sparisce dai conti pubblici, ma la lira si svaluta di un impressionante 40% rispetto al dollaro.10

Nel 1981 il ministro del Tesoro Andreatta e il Governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi avviano il “divorzio”: via Nazionale si libera dall’obbligo di acquistare i titoli di Stato invenduti, tornando a essere indipendente nelle sue scelte di politica monetaria.

Negli anni 80 “l’assalto alla diligenza” (ovverosia il ricorso a leggi finanziarie dove l’indebitamento era la regola) fa esplodere il debito. Nel 1982 il debito è pari al 66,4% del Pil, dieci anni dopo – con la crisi valutaria e della svalutazione della Lira - salirà al 110,8%. Il 1992 è l’anno in cui viene firmato il Trattato di Maastricht, che fissa un tetto massimo del 60% e è anche l’anno in cui, per evitare il default del nostro paese, il Governo Amato vara la maxi manovra da 93 mila miliardi delle vecchie lire, che vanno ad aggiungersi alla manovra da 30 mila miliardi disposta in luglio (quella del famoso prelievo del 6 per mille sui depositi bancari). Pagavamo il conto di almeno un decennio di gestione a dir poco discutibile della finanza pubblica dove ad una spesa molto consistente (l’incidenza complessiva della spesa pubblica sul Pil nel 1990 raggiunge il 42%, contro il 29% del 1960.) non trova corrispondenza un pari andamento delle entrate.11

Nel periodo 1983-1996 si è verificata una fortissima accumulazione di debito pubblico a cui però non è corrisposto un contenimento relativo delle spese pubbliche. Diversamente, gli anni 1996-2001 hanno segnato un’inversione di tendenza: tassi di sviluppo di nuovo accettabili e una forte riduzione dei tassi d’interesse derivanti sia dalla politica degli Stati Uniti che dalla nostra adesione al trattato di Maastricht hanno consentito di avviare un processo di riduzione del rapporto debito prodotto, che nel 2001 è sceso a 109.12

Nel 2008 la crisi economica mondiale porta il debito pubblico dal 103% del Pil del 2007 al 120 del 2011.13 Ed è proprio nel 2011 che il nostro Paese attraversa una crisi molto grave, che lo costringerà a scelte dolorose (come la criticatissima riforma Fornero): i creditori non credono che l’Italia possa restituire loro quanto gli hanno prestato, a causa di un’economia ritenuta troppo fragile.

Nel 2018 il debito pubblico italiano ammonta a 2381 miliardi, pari al 135% del Pil; nel 2019 il passivo aumenta ancora a 2400 miliardi.14 Un debito ingentissimo, che non può essere trascurato e che con l’avvento del covid-19 rischia di soffocare l’Italia nella sua morsa: le spese per combattere l'epidemia allargheranno il buco nei conti dello Stato, solo in parte coperto dal salvagente lanciato dalla Bce. Quando sarà finalmente possibile tornare alla normalità, non tutti i Paesi si troveranno sulla stessa linea di partenza. A fare la differenza saranno le condizioni del bilancio pubblico di ciascuno Stato. In altre parole, la zavorra del debito accumulato negli anni passati non potrà che condizionare pesantemente la velocità e la natura degli interventi per rilanciare l’economia.15


NOTE

1 Banca d’Italia, La crescita economica italiana, 1861-2011 2 Corriere della Sera, Pil, da 20 anni la crescita dell’Italia è ferma a zero 3 Secolo d’Italia, Il Pil è già crollato del 10%. Ma nel 2021 potrebbe esserci un bel balzo in avanti

4Note sul debito pubblico italiano dal 1885 ad oggi di Roberto Artoni, P.65

5Sole24 Ore; Debito pubblico: come, quando e perché è esploso in Italia?

6Avvenire, Il conto. Come si è formato il debito pubblico italiano.

7Note sul debito pubblico italiano dal 1995 ad oggi di Roberto Artoni, P.67

8Note sul debito di R. Artoni

9 Sole24 Ore, La lunga marcia del debito pubblico dall’Unità d’Italia a oggi

10Sole24 ore; Debito pubblico

11Sole24 Ore, La lunga marcia

12Note sul debito di R. Antoni, P.70

13Lo storico del debito pubblico italiano dal 1970 al 2011

14 La Repubblica, Debito pubblico, il 2019 si chiude sopra 2.400 miliardi

15 L’Espresso; Coronavirus, ecco che cosa rischia davvero l'Italia soffocata dal debito pubblico

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C’è ancora tempo, fino al 28 aprile, per visitare L’Avventura della Moneta, la mostra immersiva anteprima di MUDEM, il futuro Museo della Moneta- Banca d’Italia in corso al Palazzo delle Esposizioni di Roma. La mostra, ideata da Paco Lanciano e Giovanni Carrada per la Banca d’Italia, ha ricevuto oltre 16.000 prenotazioni, è stata visitata da più di 7.000 studenti ed è stata accompagnata da ben 20 eventi. MUDEM ha organizzato visite dedicate alle scuole primarie e secondarie e realizzato 68 attività educative, grazie alla collaborazione con la Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali, il CNR, l'Opera Nazionale Montessori e il Dipartimento Circolazione monetaria e pagamenti al dettaglio della Banca d’Italia. Nel ciclo di incontri Dopo l'avventura, esperti e accademici hanno approfondito i temi della mostra con le loro ricerche e spunti originali. Il Museo della Moneta ha intrapreso un lavoro di co-progettazione e sperimentazione per l'accessibilità della mostra e del museo. È stato realizzato un percorso tattile e multisensoriale che ha reso accessibili alle persone cieche e ipovedenti le prime tre sale della mostra. Per le persone sorde sono stati progettati dei supporti nella Lingua dei segni italiana: tablet con video in LIS e smartglasses con sottotitoli per visitare l’intero percorso. Questo video è un ringraziamento a chi finora ha seguito MUDEM e a chi si sintonizzerà sulle sue frequenze nei prossimi mesi. …Il viaggio è solo all’inizio!
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