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Nel 2021, l’anniversario del famoso pittore di Albino

L’anno appena terminato sarà ricordato per il cinquecentesimo anniversario dalla nascita di Giovanni Battista Moroni, l’artista più noto delle terre bergamasche, fautore del realismo pittorico poi perseguito da altri artisti locali e lombardi fino a Caravaggio nel Seicento e al Pitocchetto nell’Ottocento. Sono stati tanti e tanti gli avvenimenti dedicati a questa ricorrenza, che ha visto far fare la parte da leone alle città di Albino e a tutti quei borghi seriani che dell’artista vantano un’opera tra pale e polittici. Si pensi alle due mostre temporanee allestite ad Albino, nella chiesa agostiniana di San Bartolomeo; si gusti il dolce ideato per l’occasione e tanti e tanti altri eventi - molto seguiti tra l’altro - grazie anche all’abbinata con momenti di degustazione di prodotti locali sfornati per l’evenienza. Ma la ricorrenza ha sperimentato anche la possibilità di coniare un format e una modalità di visita diversi, lontani dagli standard del contenitore storico riadattato a museo o a mera sede espositiva: si è parlato di mostra diffusa, di itinerari, di raccordi, fomentando nuovi studi e nuove strade critiche da percorrere per gli studiosi in futuro. Questo anche perché i tempi sono stati duri e le operazioni pure. La Fondazione Credito Bergamasco ha dato come sempre man forte all’iniziativa, restituendo al loro originario splendore diverse opere, oltre a quelle già restaurate in precedenza durante le campagne dei “Grandi Restauri” nel Palazzo Storico dell’istituto bancario a Bergamo: si parta, in puro ordine alfabetico, da Albino con il dipinto della Parrocchiale di San Giuliano Martire (Crocifisso con i santi Bernardino da Siena e Antonio da Padova), per proseguire con Cenate Sopra (Assunzione di Maria Vergine) nella Parrocchiale di San Leone Papa, raggiungendo Palazzago e terminare la corsa a Seriate nella Chiesa del Santissimo Redentore (Crocifisso con i santi Crisogono, Cristoforo, Francesco d’Assisi e un santo martire). In questo modo si potrà continuare ad ammirare Moroni nella sua fase novella, scintillante e fresca di formazione morettiana e di tangenze tizianesche e spagnoleggianti. Non solo, dunque, quella cinerina dei ritratti dell’ultima fase, ma anche questa, spesso bistrattata. L’esperienza è stata condivisa anche con i volontari della Fondazione Adriano Bernareggi, il cui conservatore ha compilato un nuovo catalogo ragionato con l’opera completa, fiammante e fresco di stampa, realizzato sempre grazie all’irrefrenabile Fondazione Credito Bergamasco, che ha così rimarcato il suo impegno nella profusione dell’arte nei nostri territori: manutenendoli, diffondendoli e sensibilizzando lo spettatore di ogni sorta, grazie anche al pregio di lavori di ripristino affidati alle nostre attuali maggiori maestranze nel campo del restauro, che recano i nomi di Delfina Fagnani, Gian Battista Fumagalli, Andrea Lutti con Sabrina Moschitta, Antonio Zaccaria. Allestire una mostra diffusa significa anche spigrire il pubblico, che quindi è costretto, se vuole godere del bello, ad imbracciare mezzi pubblici o a cavalcare la sua autovettura e imboccare arterie stradali che ricalcano pari pari gli antichi percorsi moroniani, quelli che spingevano il maestro a fare sopraluoghi, a prendere accordi e poi a tornare mestamente in bottega per iniziare o concludere i propri lavori. Tracciare un percorso in città in una sorta di ricognizione delle opere del maestro è abbastanza semplice. Di prim’acchito verrebbe da dire di portarsi in Accademia Carrara, in borgo San Tomaso, dove in effetti sono esposti pezzi unici che una Gemaelde di Berlino o una National di Londra o un Prado di Madrid farebbero a gara per avere. Oppure, nei pressi, anche il Museo Diocesano di Bergamo conserva ante di tabernacolo e splendide pale maroniane, tra cui il Battesimo di Cristo e un Ecce Homo. In realtà però, se si volesse perseguire la strada dei siti e dei luoghi, più che delle raccolte museali, dapprima si potrebbe andare nella Parrocchiale di Sant’Alessandro della Croce, in via Pignolo: qui, oltre ai capolavori custoditi nella sacrestia, in controfacciata è stato collocato il dipinto Trinità che incorona la Vergine del 1576, proveniente dalla distrutta Chiesa della SS. Trinità in borgo Sant’Antonio, quasi in fronte alla chiesa di Santo Spirito. Fu l’allora curato di Santa Croce, don Giovanni Battista Conti, che lungimirante nell’Ottocento la acquistò dalla Municipalità dopo le spoliazioni napoleoniche ed evitò che finisse a Milano o chissà dove, come è toccato a tantissimi altri nostri capolavori. Salendo da Via Porta Dipinta è sempre d’obbligo una sosta in Palazzo Moroni (il cui casato pare non abbia nulla a che fare con la famiglia del pittore), per restare abbagliati dalla bellezza del suo inquilino più noto, il Cavaliere in Rosa (Gian Gerolamo Grumelli), dando un’occhiatina anche alle forme generose della seconda moglie Isotta Brembati, avvolte nell’abito in damasco verde, e a quelle più smilze della presunta madre e suocera Medea Rossi, rigorosamente ritratta in nero e bianca gorgiera. Da qui ci si porta in Via Bartolomeo Colleoni e nella casa di città del capitano di ventura più famoso di Bergamo, il Luogo Pio della Pietà, dove al primo piano è possibile ammirare originale e copia di quello che è considerato il ritratto più verosimile di Bartolomeo Colleoni, anche se realizzato post morte proprio da Moroni. L’artista presenta un condottiero fiero, vestito della sua corazza militare, su cui si rincorrono bagliori e luccichii metallici. Si chiude poi in bellezza in Duomo dove, entrando dall’ingresso principale, nella prima cappella a sinistra dedicata a Santa Caterina e San Girolamo, trovate la pala di Santa Caterina del 1576, commissionatagli grazie alle amicizie coltivate tra i canonici del Duomo. Il percorso parrebbe qui terminare, invece l’ultima chicca, fattaci scoprire sempre dalla benemerita Fondazione, è racchiusa nel borgo San Leonardo in via San Bernardino, nella chiesa dell’Istituto delle Suore di Carità delle Sante Capitanio e Gerosa, dove con sorpresa si trova un altro Moroni poco noto o davvero forse mai visto dai più: Crocifisso tra i Santi Francesco d'Assisi e Antonio da Padova.

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